Veleno usato come concime. Il processo è servito a nulla?

Cromo esavalente, una delle sostanze tossiche tra le più pericolose, mischiato al terreno agricolo coltivato. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere si chiude il 14 febbraio prossimo. Rischio tarallucci e vino. Il processo Eni a Potenza farà la stessa fine?

La domanda non è pertinente. Questo si è sentito rispondere l’avvocato del Codacons di Sala Consilina, alla richiesta se fossero state fatte analisi sulla matrice suolo dei terreni interessati dallo sversamento di rifiuti finito al centro dell’inchiesta “Chernobyl” della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Inchiesta che portò al disvelamento di un’altra Terra dei fuochi nei territori dell’Irpinia, del Vallo di Diano, della Piana del Sele, del Foggiano e del Beneventano.

Le indagini riguardarono 38 persone, rinviate poi a giudizioper associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti ambientali inerenti il traffico illecito di rifiuti speciali, danneggiamento aggravato, gestione illecita di rifiuti inquinanti dispersi nell’ambiente, disastro ambientale, falso e truffa aggravata ai danni di enti pubblici”.

Il falso concime. Nelle carte dell’inchiesta l’elenco dei rifiuti interrati: “fanghi tossici provenienti dal ciclo di lavorazione di quattro impianti di depurazione campani, scarti di tessuti vegetali, pietrisco, urine e letame di animali, fanghi derivanti da trattamenti di lavaggio, sbucciatura, centrifugazione, distillazione di bevande alcoliche, ceneri di carbone, imballaggi di carta e cartone, miscugli di cemento e ceramica, liquami di origine animale, scarti dall’eliminazione di sabbie, rifiuti di mercati e mense, reflui di acque urbane, reflui industriali, fanghi da fosse settiche di ospedali, abitazioni civili e persino di navi approdate al porto di Napoli”. Il tutto trasformato in “falso compost” con cui poi si concimavano i terreni agricoli. Alcuni campioni del falso concime rivelarono tracce di cromo esavalente, sostanza cancerogena altamente pericolosa per la salute.

Le indagini. Centomila ore di conversazioni telefoniche intercettate, decine di ore di filmati che mostravano, tra le altre cose, alcuni degli indagati intenti a sversare quei rifiuti.

Smaltimento illecito di imponenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, allo stato solido, liquido e semiliquido, rifiuti costituiti in particolare da fanghi da depurazione delle acque reflue urbane e sabbie provenienti dal trattamento delle acque reflue, nonché rifiuti liquidi provenienti dal porto di Napoli, da ospedali e lidi balneari del litorale domizio, e da una pluralità di fosse settiche di impianti ospedalieri e strutture private, per una quantità di rifiuti illecitamente smaltiti stimabile in circa 980mila tonnellate in circa 18 mesi e cioè dal gennaio 2006 al giugno 2007.

I fanghi che entravano nei silos di compostaggio si trasformavano, “per magia”, in concime, con tanto di nulla osta sanitario. E quel concime veniva poi sparso sui terreni agricoli in cui si coltivavano ortaggi. Questo afferma la Procura casertana nel giugno 2007, quando l’inchiesta “Chernobyl” scoppiò in tutta la sua virulenza.

Ed ancora si legge nel fasciolo dei magistrati titolari delle indagini: “un’organizzazione’ di persone e di imprese gestiva una quantità di rifiuti illecitamente smaltiti.  Gestione che procurava agli indagati ingiusti profitti nel periodo monitorato pari a circa, 50milioni di euro”.

Il processo: lungo e lento, caratterizzato da diversi rinvii. La prima udienza è stata rimandata ben 8 volte per i soliti difetti di notifica e in un caso per un ‘allarme bomba’ al tribunale di Salerno. Fino all’ottobre 2017. Nel mezzo anche il cambio del collegio giudicante. Fino all’ultima udienza, del 31 gennaio scorso, quando si è addirittura annunciata la conclusione: il 14 febbraio prossimo.

Il tempo trascorso ha ‘offuscato’ i reati contestati, di cui sembra non rimanere più traccia. Dal processo emerge un racconto dei fatti completamente diverso da quello ipotizzato dalla Procura casertana. Roba da non dormirci la notte. Ed è esattamente quello che è accaduto al responsabile della sede Codacons di Sala Consilina, Roberto De Luca. Il Codacons si era costituito parte civile. L’inchiesta aveva puntato i riflettori sul Vallo di Diano, per gli sversamenti a San Pietro al Tanagro, Teggiano, Sant’Arsenio e San Rufo.

In giudizio attraverso il suo legale, l’avvocato Matteo Marchetti, il Codacons ha provato a porre l’attenzione su quegli elementi che potevano contribuire a far luce sui reati contestati. Su tutti, il più grave, il disastro ambientale, che oggi, dopo l’ultima udienza sembra scomparire dietro anni di immobilismo.

Improvvisa accelerazione del processo”. Nell’udienza del 31 gennaio scorso-spiega il rappresentante del Codacons De Luca- che arriva dopo una lunga serie di rinvii, a iniziare dal 17 dicembre 2014, abbiamo avuto l’impressione che il processo abbia subito un’improvvisa accelerazione. Infatti, è stato sentito dal Pubblico Ministero un singolo testimone; un maresciallo maggiore del NOE che aveva preso parte alle indagini. Il teste, interrogato dal pm, ha specificato che i rifiuti speciali non pericolosi provenivano da fanghi generati dalla depurazione delle acque reflue urbane e di quelle di navi attraccate al porto di Napoli.

Nell’interrogatorio- racconta De Luca- abbiamo sentito distintamente che si faceva riferimento a “Rifiuti speciali non pericolosi e alla matrice liquida. Nessun riferimento alla matrice solida, il che fa supporre che analisi in tal senso non siano state mai effettuate”.

Vale quindi la pena ricordare che nel fascicolo della Procura di Santa Maria Capua Vetere c’era scritto: “venivano smaltiti illegalmente fanghi tossici…fanghi assolutamente pericolosi in quanto rifiuti speciali da smaltire in discarica...”.

Tuttavia, in udienza, si parla di rifiuti speciali non pericolosi, il che fa presupporre che il reato di disastro ambientale sia prossimo a cadere. Agli altri ci ha già pensato la prescrizione.

In aula -racconta De Luca- erano presenti molti avvocati difensori, alcuni dei quali hanno richiesto a viva voce il dissequestro dei terreni interessati dall’illecito smaltimento di rifiuti. L’atmosfera sembrava quasi festosa, si andrà a conclusione del processo il 14 febbraio prossimo, il giorno degli innamorati.

A lasciare basiti- commenta ancora De Luca- la risposta del teste all’avvocato Matteo Marchetti dell’Ufficio Legale Regionale dell’associazione Codacons. Alla domanda se fossero stati effettuati rilievi sui terreni interessati la risposta è stata che non risultano rilievi o indagini analitiche su matrice suolo”.

Chi doveva farle queste analisi? E soprattutto perché non sono state fatte vista la pericolosità di quanto emergeva dalle indagini? Infatti sempre la Procura di Santa Maria Capua Vetere, il 16 agosto del 2007, spediva ai sindaci dei Comuni, nei quali ricadevano i terreni interessati dagli sversamenti, una comunicazione in cui si chiedeva alle Amministrazioni competenti di intervenire, “attesa l’estrema pericolosità derivante dalle attività criminali accertate in tema, in particolare, di smaltimento illecito di rifiuti”.

La scure della prescrizione. Con questa premessa- aggiunge il resposabile del Codacons di Sala Consilina si potrebbe ipotizzare che si vada verso la prescrizione (tutti i reati contestati, tranne quello di disastro ambientale sono già, ad oggi, prescritti: tra i capi di imputazione ricordiamo quello di distruzione e deturpamento delle bellezze naturali ). Pertanto, si ipotizza che il 14 febbraio si dovrebbe soltanto prendere atto che 980mila tonnellate di rifiuti illecitamente smaltiti non costituiscono un danno così ingente per l’ambiente da dar luogo a un disastro ambientale.

Tanto più che il solo teste interrogato, alla domanda da parte del Pubblico Ministero se risultasse che questi sversamenti avessero prodotto dei danni alla salute dei cittadini, ha prontamente risposto che ciò non risultava.

E gli studi epidemiologici? Logico immaginare -conclude De Luca- che saranno quindi stati fatti studi epidemiologici i cui risultati sono davvero confortanti e di cui non siamo mai venuti a conoscenza, forse per nostra colpevole incuria”.

Ma di queste indagini, al momento, non v’è traccia. Cosa sia realmente accaduto in questi anni, forse, non lo sapremo mai. Così come non sapremo mai la reale portata dell’inquinamento prodotto da quel ‘falso concime’. Proprio “roba da non dormirci la notte”. E questa roba somiglia molto al processo Eni a Potenza. Le calende greche, il rischio prescrizione e i tarallucci e vino.