Il Pd e quella fabbrica di scarpe mai esistita

Nel 2008 il ceto politico regionale lanciò un appello ai lucani che avevano maturato competenze e conoscenze fuori dalla regione per contribuire allo sviluppo della Basilicata. Chiacchiere

Se non fossi fermamente convinto delle possibilità enormi di sviluppo che ha il Sud non scriverei questo articolo. Anzi a dirla tutta non ne avrei scritto nessuno dal 2008 ad oggi.

Nel 2008 il ceto politico regionale lanciò un appello ai lucani che avevano maturato competenze e conoscenze fuori dalla regione per contribuire allo sviluppo della Basilicata.

Risposi con passione a quell’appello. Con l’aiuto di un gruppo di amici estremamente qualificati elaborai un piano di sviluppo per la regione e lo presentai a Potenza a dicembre 2009. Per meglio promuoverlo e comunicarlo fondai nel luglio 2009 l’Associazione Pinguini Lucani. Scrissi anche un saggio divulgativo: Si può fare!

Mi resi presto conto che l’appello era un bluff, la politica reagì infastidita. Rabbiosamente mi candidai come sindaco a San Chirico Raparo, mio paese di origine, con una lista civica. L’idea era di incunearsi nelle istituzioni locali per promuovere un’idea diversa su come si amministra e si promuove lo sviluppo di una regione. Il PD individuò in me un nemico pubblico e si mobilitò l’intero Partito Regione: Vito De Filippo, Gianni Pittella, Salvatore Margiotta, Pasquale Robortella, Vilma Mazzocco e a chiudere la campagna elettorale arrivò Roberto Speranza, allora segretario regionale del PD, che affermò che contro di me c’era il vero PD.

Il vero PD nell’ultimo comizio annunciò la realizzazione di una fabbrica di scarpe, dileguatasi nel nulla il giorno dopo, e mobilitava per i comizi del mio avversario truppe cammellate plaudenti da tutta la Val D’Agri. Ignobili calunnie furono diffuse su di me e quando vidi su un blog anonimo definire un insegnante candidato nella mia lista “pedofilo laureato al CEPU” presentai querela corredata da perizia informatica. I responsabili furono individuati nel vero PD: il sindaco, il vicesindaco e uno dei lavoratori socialmente utili.

In sintesi nel piano spiegavo che le possibilità di sviluppo della regione erano legate alla realizzazione di un insieme di infrastrutture, Lauria – Candela, aeroporto di Pisticci, bretella Pisticci Taranto, potenziamento ferrovia merci, collegate allo sviluppo del porto di Taranto per aprire delle vie di commercio alternative a quelle del distretto portuale di Rotterdam – Anversa con la Cina e l’estremo oriente.

Ricordavo Marco Polo e spiegavo che l’alternativa a Taranto era la via di terra che passava dal Kurdistan, impraticabile per le continue guerre, e quel Pireo – Balcani, di gran lunga meno conveniente. Per i borghi montani invece si doveva profittare della rivoluzione informatica per promuovere la delocalizzazione di cicli amministrativi delle aziende. Una sorta di smart working delocalizzato.

Nel 2009 Li Ka Shing, massimo imprenditore cinese della logistica, voleva investire su Taranto: venne ignorato. Nel 2012 Barca si rende conto della situazione e firma un accordo con Li Ka Shing per lo sviluppo di Taranto. Nel 2013 il governo cinese vara un piano da un trilione e mezzo di dollari per lo sviluppo di nuove vie di commercio con l’Europa chiamato “Le Nuove Via della seta”, Taranto è centrale in questo progetto. Passano i governi Letta, Renzi e Gentiloni e nulla si fa su quell’accordo in compenso Li Ka Shing e il governo cinese si stufano e dirottano tutto lo sviluppo sul Pireo e i Balcani. Gentiloni e Del Rio invece di mettersi in ginocchio e implorare perdono e mettersi a lavorare per farli tornare sui loro passi offrono un blando supporto al Pireo con i porti di Genova e Trieste, ignorando tutto il Sud.

Ancora oggi mi rammarico di non essere riuscito a convincere poco una sessantina di persone in più sulla bontà della mia proposta. Da quel momento San Chirico Raparo ha perso circa 300 abitanti e la Regione quasi 40.000. Sarebbero cambiate molte cose perché quel piano non solo è attuale ma alla luce di quanto avvenuto dopo ha mostrato ancora di più la sua validità. La globalizzazione e l’informatizzazione offrono la possibilità di incrementare per multipli di PIL della Basilicata e di tutto il sud.

Non è per stupido narcisismo che rievoco tutto questo, che ancora mi dà malessere.  Sul piano lavorativo ho maturato ulteriori soddisfazioni oltre a quelle che già avevo, ho scritto un romanzo e ne sto per pubblicare un altro.  Sul piano politico il mio futuro è ormai alle spalle, ma non rinuncio a dire la mia, per senso civico, non certo per interesse o per chissà quali ambizioni.

Il modello di politico di successo che si è affermato fino ad ora in Basilicata e nel sud è quello della cosiddetta ‘relazione corta’. Quello che riconosce per nome e cognome ogni singolo elettore, e i suoi bisogni spiccioli, e cerca quando gli riesce di soddisfarli e, quando non gli riesce, di promettere una soluzione che non arriverà mai.

Le ultime elezioni hanno detto basta a questo modello facendo convergere su M5S tutta la protesta e la speranza di un futuro diverso. Se però il M5S non riuscirà a mettere in moto lo sviluppo, per conservare il potere non potrà fare altro che riproporre gli stessi schemi del passato, con la differenza che l’elettorato è diventato mobile e che il ciclo durerà pochissimo perché di tutto c’è bisogno tranne che di una operazione gattopardesca con vecchi vizi interpretati da facce nuove.

Dal 2008 ad oggi sulla questione petrolio si è formato in Lucania un nuovo ceto civile di intellettuali e tecnici di rango.

Questo ceto, pur essendo nemico giurato del PD e della destra forzista, ha maturato un rapporto di tiepida adesione, se non di diffidenza, nei confronti del M5S. Diffidenza probabilmente, a quanto mi è dato di capire da osservatore esterno alla regione, reciproca.

Questo ceto ha sparato a palle incatenate sul PD e sulle sue nefandezze creando i presupposti per la vittoria del Movimento 5 Stelle ma trattandosi di persone libere di testa e che hanno rischiato parecchio in proprio, se non troverà risposte nel M5S ci metterà un attimo a cambiare il tiro, perché per come è nato, ossia non all’ombra e protetto dalla politica, non è geneticamente capace di fare sconti a nessuno.

Se la capacità di proposta, oltre che di denuncia, se le competenze, se la passione civile non troverà una sponda organica in chi ha dimostrato di saper raccogliere i voti si sarà persa l’ennesima occasione per i nostri ragazzi e il mezzogiorno.

Le elezioni regionali sono alle porte e, vi giuro, il potenziale di sviluppo della regione Basilicata c’è ed è enorme: è dovere di tutti provarci. È dovere di questo ceto mettere sul tavolo le proprie idee ed è dovere dei 5S ascoltare mettendo da parte le reciproche diffidenze.

Nessuno può e si deve illudere che il risultato elettorale appena conseguito sia facilmente e immediatamente estrapolabile alle prossime regionali e senza una appassionata e attenta proposta la volatilità dell’elettorato potrebbe rapidamente riorientarsi.