Il 2019 può segnare il percorso dei prossimi decenni. Dipende da noi

Dove stiamo andando? Sintesi del capitolo di un libro di storia scritto nel 2060

Nel Dottor Zivago, di Boris Pasternak, Gordon, l’amico di Zivago, nell’ultima pagina del romanzo dice: “E’ successo più volte nella storia: quello che era stato concepito in modo nobile e alto, è diventato rozza materia. Così la Grecia è divenuta Roma, così l’illuminismo russo è diventato la rivoluzione russa.” E aggiungiamo: Così la democrazia è diventata capitalismo, consumismo, totalitarismo tecnologico. Così la società è finita nello stallo esistenziale nel 2050.

Partire dal concetto di rozza materia ci aiuta a capire, forse, un aspetto della sconfitta degli ideali e della politica dal 68 in poi. Già sul finire degli anni 80 assistiamo all’involuzione della politica in arena di scontri su questioni economiche, di denaro. Ciò accade nello stesso tempo in cui la svolta verso una società individualista si compie definitivamente fino ad assumere, come diceva Bauman, forme estreme di liquidità sia nelle relazioni sia nei valori di riferimento. Individualismo, consumismo, centralità dell’economia domestica diventano il perno sociale e politico delle proteste.

I partiti, anch’essi travolti dalle trasformazioni di quegli anni, diventano mediatori delle istanze economiche e consumistiche delle popolazioni. Istanze frammentate e confuse legate ai livelli artificiali di benessere che nel frattempo il capitalismo ha introdotto rendendo schiavi del consumo masse di persone. La lotta politica tra partiti si trasforma sempre più in lotta elettorale e le preferenze degli elettori si legano strettamente alle istanze individuali di benessere economico del proprio nucleo familiare. E’ in questo frangente, a cavallo dei secoli ventesimo e ventunesimo, che la politica smette di parlare al cervello della società e punta quasi tutto sugli umori e sui bisogni della pancia degli individui.

Il dibattito politico e all’interno dei partiti perde di vista ideali e prospettive di futuro e si concentra quasi esclusivamente sulle proposte a breve termine come tentativo di risposta alle istanze di rozza materia.

Ecco che i segretari di partito sono contemporaneamente ministri o premier. La politica è solo ed esclusivamente amministrazione, gestione della cosa pubblica. Salta la funzione aggregatrice di ideali, di solidarietà, di costruzione di una società migliore.

Una società più giusta, più libera, più equa, più solidale non è più una domanda collettiva degna di partecipazione e di lotta politica. Più degna è la domanda di lavoro, di reddito, di accesso al consumo, di benessere artificiale. Perciò non importa se perdo la libertà, se esiste la solidarietà, se c’è equità e giustizia, importa che “io abbia i mezzi per vivere una vita dignitosa”. I vincoli di bilancio, la politica economica, le politiche di welfare diventano il centro della lotta elettorale (non politica) tra i partiti. Più soldi di qua e meno di là, più agevolazioni di qua e meno di là. E mentre la torta della ricchezza si restringe per molti e si allarga per pochi, i governi si trasformano in ragionieri del bilancio statale.

La piazza di un tempo si trasferisce su più comodi spazi: il web. E i partiti anche loro si spostano velocemente nel confuso non luogo delle relazioni sociali. I discorsi diventano post, emoticon, tweet. Le argomentazioni mutano in slogan, il ragionamento va in soffitta, l’approfondimento diventa faticoso, la pigrizia intellettuale produce odio della competenza.

Aumenta negli individui il bisogno di controllo, l’assillante verifica dell’andamento delle proprie cose. L’idea di perdere il controllo della propria vita genera spaesamento, inquietudine, nervosismo, spavento e allora diventa patologico.

L’ansia per un figlio che ritarda nel rientro, l’intolleranza ai dettagli fuori posto, sentirsi turbati da un imprevisto o da tutto quello che non è sotto il proprio diretto esame, caratterizzano sempre più la vita delle persone.

Questo bisogno di controllo viene sfidato da eventi sconosciuti: l’emigrazione, gli immigrati, il terrorismo internazionale, la crisi economica, la minaccia dell’impoverimento.

Cresce l’intolleranza per l’incertezza e l’ignoto e aumenta la sfiducia negli altri.

Le persone cercano rassicurazioni neanche più nel senso comune ma nei luoghi comuni e si limitano alla descrizione di cose e fatti senza tuttavia essere in grado di spiegarli. Un atteggiamento simile a quello delle società primitive quando l’uomo si limitava ad accendere il fuoco senza chiedersi nulla sulla genesi chimica delle fiamme. Il compito di spiegare cose e fatti è delegato all’elite che, quando non riesce a dare spiegazioni di massa, avvolge tutto nel mito, o meglio nei mitoidi.

Quando le folle scendono in piazza lo fanno per difendere un interesse economico e urlare istanze individualistiche. Gli ideali, gli orizzonti di una nuova società da costruire in alternativa al presente, perdono di sostanza nelle proteste e nelle manifestazioni sempre meno di massa.

La tendenza è di pensare il meno possibile, di concentrarsi sul superamento delle problematiche della vita quotidiana evitando ragionamenti complessi e ricorrendo agli stereotipi, a una sorta di comportamenti automatici. Si persegue la convenienza personale e non più ciò che è o che sarebbe giusto anche per gli altri.

Salta la funzione regolatrice della coscienza collettiva rimpiazzata da protesi di coscienza distribuite dall’elite attraverso i mass-media e il web. In questa situazione generale la distanza tra le masse e l’elite di comando si allunga sempre di più mentre la dipendenza delle masse dall’elite di comando si rafforza.

Nella percezione collettiva si dilatano le differenze tra destra e sinistra, tra conservatorismo e progressismo. I partiti si fanno interpreti di opposti egoismi sociali. Si dilata la coscienza di classe, l’appartenenza a un gruppo sociale che ha gli stessi interessi, gli stessi obiettivi, le stesse speranze e si sviluppa la coscienza degli interessi egoistici “ora qui in questo gruppo”. Le lotte di massa scompaiono dalla scena sociale e politica per fare posto alle proteste separate, alla difesa del proprio posto di lavoro “ora qui in questo luogo”. Una frammentazione della lotta che perde di efficacia nel tentativo di mediazione caso per caso. Le masse lasciano il posto ai gruppi che a loro volta, risolto eventualmente il problema, si separano in individui. E’ questo uno dei problemi di quegli anni: l’egoismo sociale che tendenzialmente sfocia in egoismo individuale. Sarà pure una società liquida, cellulare o molecolare ma le cifre che caratterizzano la vita delle persone  sono l’egoismo, il bisogno di controllo, l’ansia. Ecco che nel 2040 la società entra in uno stallo esistenziale, in un girone di infelicità, avviluppata in un’enorme quantità di falsi bisogni da cui dipende sempre di più. La “rozza materia” prevale su tutto.

In quei primi cinquant’anni del XXI secolo è in crisi la civiltà con tutti i residui di umanità ancora sopravvissuti. (Sintesi del capitolo di un libro di storia scritto nel 2060.)

P.S. E’ possibile tuttavia riscrivere interamente il capitolo con un finale completamente diverso. Dipende da noi.