Emergenza coronavirus. Si muore di infarto per paura del covid

Per capirne di più abbiamo intervistato il noto cardiologo Roccaldo Osanna

Durante la pandemia da COVID-19 si è ridotto sensibilmente l’accesso di pazienti alle strutture sanitarie con sospetta o accertata cardiopatia. E sono aumentati i casi di decessi con diagnosi di infarto. Il fenomeno riguarda anche la Basilicata. Ne abbiamo parlato con Rocco Aldo Osanna, Direttore f.f. U.O.C. Cardiologia UTIC del Presidio Ospedaliero di Melfi, Coordinatore Regionale Rete IMA (Infarto Miocardico Acuto)

Dottore, quanto è vasto il fenomeno?

Secondo quanto riportato negli articoli di stampa, se si considerano i pazienti con diagnosi di infarto, il numero di ricoveri con diagnosi di infarto si è ridotto del 50-70%.

La Basilicata non è esente da tale fenomeno, quali le cause?

Esatto. La principale causa è da ricercare con molta probabilità nella paura del contagio da Covid-19.

A tale riguardo è necessario sottolineare che i pazienti Covid e coloro che sono colpiti da infarto seguono percorsi differenti che escludono contatti o contagi. Infatti le strutture di degenza che accolgono i pazienti Covid sono distanziate da quelle destinate ad accogliere i pazienti infartuati.

Dunque esiste un problema di informazione?

Qualche problema esiste se la gente non sa che non c’è alcun rischio covid per chi ha necessità di ricoveri per problemi cardiologici. Oppure, mi lasci dire, la gente lo sa ma ha comunque paura. Tuttavia, bisogna sapere che il ritardo o la sottovalutazione dei sintomi premonitori di infarto comportano gravi conseguenze fino alla morte per arresto cardiaco.

Possiamo quantificare il fenomeno?

In una pubblicazione del Centro Cardiologico Monzino di Milano si stima che dall’inizio della pandemia la mortalità per infarto acuto è quasi triplicata e sono diminuite del 40% le procedure salvavita di cardiologia interventistica.

Questa drammatica evenienza è causata dal fatto che un numero importante di persone sottovalutano i sintomi e giungono in ospedale in ritardo. Il ritardo comporta una sfavorevole evoluzione dell’infarto caratterizzata dalla necrosi di gran parte del muscolo cardiaco. Molti pazienti, purtroppo, muoiono prima dell’arrivo in ospedale. Per chi, invece, arriva in ospedale entro le prime ore vi sono molte possibilità di salvarsi.

La pandemia da COVID-19 ha, di fatto, accentuato un fenomeno già noto e ci ha riportato indietro di molti anni quando i pazienti giungevano in ospedale con gravi complicanze.

In Basilicata in che misura si è verificato o si sta verificando il fenomeno?

Non abbiamo dati certi, ma è evidente un calo dei ricoveri con diagnosi di infarto e sembra siano aumentate le morti per causa di un mancato intervento precoce

La Regione Basilicata due anni fa ha avviato una campagna di informazione e sensibilizzazione chiamata “Non morire di dubbi, chiama subito il 118. Il cuore non aspetta”. La campagna ha avuto come obbiettivo prioritario la riduzione della mortalità per infarto, con particolare attenzione alle morti pre-ospedaliere e alla differenza di genere. Si rivolge ai cittadini e agli operatori sanitari perché diventino tutti parte di un virtuoso processo di informazione e di prevenzione.

Ma qualsiasi campagna è destinata a fallire se non vi è un periodico rilancio, non crede?  

Concordo. È fondamentale riproporre periodicamente quello che fu fatto negli anni scorsi. Grazie alla Rete Regionale IMA che coordina medici ed infermieri del 118 e dei Pronto Soccorso, cardiologi interventisti e clinici, tecnici di radiologia, autisti delle ambulanze e piloti degli elicotteri, si è riusciti ad incrementare di oltre il duecento per cento il numero delle angioplastiche primarie, la migliore terapia oggi disponibile per salvare un paziente con infarto.

La possibilità di sopravvivere ad un infarto dipende, quindi, dalla tempestività dei soccorsi e delle cure. Perché si possa essere tempestivi è necessario conoscere come si manifesta l’infarto e non sottovalutare i sintomi.

Ripetiamo per i nostri lettori quali sono i sintomi da non sottovalutare

Il principale sintomo è il dolore al petto che può irradiarsi al braccio sinistro o ad entrambi gli arti superiori, ma anche allo stomaco, al collo, alle spalle, al dorso. Il dolore può essere associato a sudorazione, mancanza di respiro, nausea, vomito.

L’infarto colpisce anche le donne. Sono soprattutto le donne a sottovalutare i sintomi, perché spesso più sfumati o confusi con altre patologie.

In ogni caso, uomini o donne hanno una sola cosa da fare se il dolore dura più di dieci minuti: chiamare il 118.

L’infarto si cura solo in ospedale e deve essere gestito dal 118. Non serve aspettare che il dolore passi, è pericoloso mettersi in auto da soli o farsi accompagnare da un amico o un familiare per raggiungere il pronto soccorso più vicino. Oltre che pericoloso, ciò comporta un ritardo nella diagnosi e nell’inizio della terapia che devono essere affidati al personale del 118.

Che cosa consiglia in questa fase due dell’emergenza covid 

Se hai dei sintomi chiama il 118 e non aver paura del covid perché i ricoveri per presunti infartuati seguono percorsi autonomi, separati dal resto dei percorsi di ingresso per covid. Insomma, non c’è alcun rischio. Il rischio vero è dato dalla sottovalutazione dei sintomi e dalla paura del ricovero.

Roccaldo Osanna