Monnezza che odora di soldi. In Basilicata il Piano Rifiuti è ancora sulla carta, perché?

Atti, documenti, delibere finiti nel caos dell’indecisione. Chi ci guadagna e chi ci rimette dalla politica dell’immobilismo?

Ridurre al minimo i rifiuti, nonché riutilizzare, riparare, mettere a nuovo e riciclare materiali e prodotti già esistenti. È questa l’economia (più) circolare, verso cui anche la Basilicata dovrà transitare con decisione, per ridurre la pressione sull’ambiente e aumentare competitività, innovazione e crescita, creando posti di lavoro.

La nuova strategia sui rifiuti della Commissione Europea per i prossimi anni (Pacchetto Economia Circolare), pone la “società del riciclo” come obiettivo generale della programmazione dei Paesi membri e, quindi, delle regioni: i rifiuti sono considerati risorse da recuperare e riciclare e come tali vanno gestiti.

Pertanto, il riciclo dei materiali dovrà divenire nell’attuale contesto regionale un fattore strategico nella prospettiva di crescita, modernizzazione e sviluppo dei territori, non solo per ragioni ambientali ma anche per le rilevanti ricadute economiche e industriali. A che punto siamo?

Il Pacchetto Economia Circolare 2018: nuove norme per prevenzione e gestione dei rifiuti e imballaggi, in Basilicata nulla

Nel nuovo pacchetto che da poco è diventato legge europea, l’obiettivo minimo di riciclo per i rifiuti urbani è stabilito al 55% in peso entro il 2025, al 60 al 2030 e al 65 entro il 2035. Mentre per gli imballaggi il target è ancora più ambizioso: la quota minima di riciclo è fissata nel 65% in peso nel 2025 e al 70 al 2030. In altre parole, dovrà essere molto alto l’impegno nelle innovazioni di prodotto e di processo che vanno verso un ampliamento della ‘seconda vita’ degli scarti. Un’occasione, sottolinea il Circular Economy Network, che potrebbe facilitare proprio la nascita di nuova occupazione: secondo le stime dell’Enea, una forte spinta verso l’economia circolare può creare in Italia fino a 540 mila posti di lavoro entro il 2030.  Entro il 2035, lo smaltimento in discarica non dovrà superare il 10% dei rifiuti urbani prodotti.

La Regione Basilicata, con D.G.R. n 506/2015, art. 47, c. 5 – L.R. n. 4 del 27 Gennaio  2015  Adozione del Documento “Strategia  regionale  rifiuti  zero  2020” in cui ha indicato le linee programmatiche a base del nuovo Piano dei rifiuti (per la sezione dei Rifiuti Solidi Urbani), pone in sintesi come obiettivo, al 2020, il 50% dell’effettivo riciclo di materia, per le diverse tipologie di rifiuti, con raggiungimento del 65% di raccolta differenziata (obiettivo base) e del 70% (obiettivo medio al 2020).

Ebbene, di tutto questo in Basilicata non è stato fatto nulla.

L’Egrib e il Piano d’Ambito

L’Egrib (Ente di Governo per i Rifiuti e le Risorse Idriche della Basilicata) in applicazione della legge regionale n. 1 dell’8 gennaio 2016 che lo istituisce, avrebbe dovuto esercitare le competenze nel governo della gestione integrata dei rifiuti, (Piano d’Ambito, tariffe impianti, aggiudicazione servizi con gare, stipula accordi e intese, protocolli d’intesa con i Consorzi di filiera del Conai, ecc.) Ad oggi poca roba.

Con legge regionale n. 35 del 16 novembre 2018 (recante disposizioni di riordino normativo in materia di rifiuti), a quattro anni dall’approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti (PRGR) e dall’istituzione dell’Egrib, sono state affidate all’Ente precise funzioni di organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti (art. 6), che per la gran parte dovranno/potranno essere esercitate a seguito di emanazione di indirizzi e definizione di criteri specifici da parte della Regione, in particolare nella elaborazione del Piano d’Ambito. Anche in questo caso siamo in alto mare.

C’è da chiedersi come mai non si è dato corso al Documento preliminare di Piano d’Ambito approvato dall’Assemblea dell’Egrib del 31 marzo 2017? In quel documento veniva proposto il modello di gestione per la fase transitoria al nuovo assetto organizzativo che avrebbe dovuto vedere la luce con il Piano d’ambito definitivo.

 A chi giova l’immobilismo?

Il non procedere alla stesura e all’approvazione del Piano d’Ambito, che di fatto attua la pianificazione della Regione definita con il Piano regionale sui rifiuti, suscita molti dubbi.

Questo immobilismo lascia campo aperto a pochi privati che, per quanto concerne i rifiuti urbani indifferenziati (CER 200301), fanno concorrenza agli impianti pubblici, e per quanto riguarda l’impossibilità di trattare in impianti dedicati la frazione organica da raccolta differenziata (CER 210108), perché la regione ne è priva, agiscono addirittura in un regime di monopolio/oligopolio.

In entrambi i casi i Comuni sono “costretti” per ragioni di distanza dagli impianti pubblici o perché assenti gli impianti di compostaggio a conferire queste due tipologie di rifiuti agli impianti privati dei “soliti noti” che traggono ingenti guadagni da una situazione che vede l’Ente pubblico scomparire.

Sia chiaro: la mancanza del Piano d’Ambito, cioè anche della determinazione di una tariffa unica per l’Ambito definito o comunque di una tariffa ragionata nell’interesse dei comuni e della Regione, favorisce oscillazioni dei costi di conferimento (questo nel caso dei rifiuti indifferenziati) che mettono spesso in crisi i Comuni.

A questo – è paradossale – si unisce il fatto che senza impianti di compostaggio i Comuni sono obbligati rivolgersi a questi impianti privati locali (che non sono impianti di compostaggio) i quali applicano tariffe onerose sulla frazione organica conferita, proprio perché il trattamento di quei rifiuti dovrà/potrà avvenire fuori regione a costi molto alti: l’organico viene trasferito quando va bene in Campania o Puglia, ma spesso prende anche la via delle regioni del centro-nord.

L’assenza di un Piano d’Ambito, che tarda a venire, è pienamente funzionale agli interessi privati, per la mancanza dell’impiantistica necessaria (compostaggio) e per la mancata definizione di una tariffa regolamentata/uniforme rispetto all’ambito prescelto in merito al conferimento dei rifiuti agli impianti, stabilita per legge regionale.

In ultimo, è evidente che l’assenza di un Piano d’Ambito non sta favorendo quella raccolta differenziata necessaria a raggiungere il tasso di riciclo indicato dalle norme nazionali ed europee: siamo ancora di molto al di sotto del 65% di RD Raccolta Differenziata – che si sarebbe dovuta raggiungere nel 2012. Ma, oggi, occorre arrivare almeno all’80% di RD per raggiungere il risultato del 65% di effettivo riciclo (al 2025), del 70% (al 2030), del 75% al 2030 (anno in cui il ricorso alla discarica non dovrà superare il 10%), come recitano le norme europee sull’economia circolare.

Che cosa accadrebbe se si adottasse un Piano d’Ambito?

 Ci sarebbe un Ambito regionale, o due a carattere provinciale o magari più di due sub-ambiti in territori omogenei. Questo è relativo. La cosa più importante è che, definito l’Ambito finalmente si avrebbe una governance uniforme su tutto il territorio della Regione, che si ispiri ai principi del nuovo Piano, nell’ottica della riduzione o quanto meno stabilizzazione della produzione dei rifiuti, dell’incremento spinto della raccolta differenziata, del privilegiare il recupero di materia a quello di energia. Quindi realizzazione degli impianti necessari, tariffazione unica, gestione affidata a poche imprese – singole o associate –, con bandi di gara, definizione di partenariati chiari, razionalizzazione, efficientamento e ammodernamento del sistema globale del ciclo e riciclo dei rifiuti. Avremmo più occupazione nel settore, significativi risparmi nella spesa pubblica e spinte espansive nell’economia del riciclo.

In una situazione del genere molti degli attuali gestori resterebbero fuori dal circuito e alcuni attuali proprietari di impianti subirebbero una riduzione importante del fatturato.

 Il giro d’affari sui rifiuti

 Insomma, niente Piano d’Ambito vuol dire niente impianti necessari e alternativi al vecchio sistema di gestione, niente tariffario per gli impianti, niente gare d’appalto per la gestione e dunque prosecuzione dei privilegi e del monopolio degli attuali gestori dei rifiuti e proprietari degli impianti. Il volume d’affari, calcolato sui piani finanziari dei singoli Comuni, si aggira intorno agli 80 milioni di euro, in gran parte divisi tra circa una ventina di società di gestione e una decina di società proprietarie di impianti, a parte quelle a partecipazione pubblica o completamente pubbliche. Una delle società che la fa da padrona è la New Ecology System (N.E.S.) di Tito che con il suo impianto raccoglie rifiuti non differenziati e organici a costi che si aggirano intorno ai 200 euro a tonnellata.