La Regione Basilicata viola i diritti fondamentali dell’uomo: bracciante agricolo ivoriano si rivolge alla Cedu

Costretto a vivere in condizioni inumane e degradanti, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo per chiedere la condanna dell'Italia

Costretto a vivere in condizioni inumane e degradanti, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per chiedere la condanna dello Stato italiano perché «lede i diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute, alla dignità». Cittadino ivoriano, trentenne, rifugiato politico in Italia dal 2009, D.H. ha adito la Cedu assistito dai legali, Angela Bitonti, del Foro di Matera, e da Sonia Sommacal del Foro di Belluno: è la prima volta, in Basilicata, che un rifugiato politico chiama in causa un organo giurisdizionale internazionale come la Corte Edu, istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950.

Nella «battaglia legale» contro l’eliminazione degli insediamenti informali, D. H. è sostenuto anche da Adu Italia, Adri, Associazione Migranti Basilicata, Libera Basilicata e Associazione Tolbà, associazioni per la tutela dei migranti e dei loro diritti, secondo le quali la vicenda dell’ivoriano è l’emblema «dell’irragionevole insufficienza e inefficace azione amministrativa di Stato, Regione Basilicata ed Enti locali nella tutela del diritto fondamentale alla vita e del diritto di non subire trattamenti inumani e degradanti nei confronti di D. H. e delle migliaia di stagionali stranieri che da almeno venti anni transitano in Basilicata, soprattutto nel Vulture Melfese e nel Metapontino.

D.H. è costretto a spostarsi periodicamente per la raccolta di pomodori, ortaggi, frutta e altro. In Basilicata, arriva ogni anno per lavorare nelle campagne del Vulture-Melfese nel mese di maggio e vi rimane fino alla fine di ottobre. «Le peculiarità di questo tipo di lavoro, tra cui la stagionalità, la precarietà, la mobilità just-in-time, per “inseguire” le varie raccolte – si legge nel ricorso presentato dai legali – e l’informalità dei rapporti di lavoro, hanno accentuato la condizione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e quindi dello stesso ricorrente».

«Quando sono costretto a venire in Basilicata – ricostruisce la sua storia D. H. – mi accampo nelle campagne di Venosa, in provincia di Potenza e precisamente nella zona di Boreano, in uno dei casolari abbandonati e fatiscenti che vengono occupati anche da altri braccianti agricoli migranti stagionali. In tutto, venti persone per ogni casolare, senza energia elettrica né acqua corrente, senza porte e finestre, e in pessime condizioni igienico-sanitarie dovute all’accumulo di rifiuti di ogni tipo ammassati a pochi metri dagli insediamenti. Nessuno provvede a raccogliere e smaltire quei rifiuti, e la nostra salute e quella di chi vive nelle zone circostanti diventa sempre più precaria».

«Quasi nulla è stato fatto per eliminare gli insediamenti informali nei quali, purtroppo, centinaia di lavoratori stranieri, regolarmente soggiornanti e non, sono costretti a vivere con gravissima lesione della loro dignità di uomini», sostengono le associazioni al fianco di D. H..

Spiega l’avvocato Bitonti: «Nonostante lo Stato Italiano abbia predisposto un piano normativo multilivello volto a contrastare il caporalato, -spiega l’avvocata Angela Bitonti- il grave sfruttamento lavorativo e all’eliminazione dei ghetti, l’azione amministrativa è senz’altro inefficace per la realizzazione degli obiettivi normativamente previsti. Per quel che riguarda la Regione Basilicata, la Legge n. 13/2016, individua una serie di obiettivi da realizzare a cui non ha fatto seguito una programmazione strutturale. L’accoglienza dei braccianti agricoli stagionali è stata sempre affrontata in maniera emergenziale e persino il progetto Su. Pr. Eme Italia, che quest’anno (2021) ha consentito l’apertura del centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio, che costituisce un tassello importante del piano triennale 2020-2022 (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la lotta al caporalato e grave sfruttamento lavorativo in agricoltura) attinge dal Fondo FAMI–Emergency Funds, una risorsa tampone legata a situazioni di un’emergenza orami cronica. Tale irragionevole insufficienza ed inefficacia dell’azione amministrativa vanno ad intaccare ledendoli, i diritti fondamentali del ricorrente e dei lavoratori migranti che si trovano nelle sue medesime condizioni. Considerando, inoltre, che la eliminazione degli insediamenti informali costituisce un elemento essenziale per la lotta al caporalato e al grave sfruttamento in agricoltura, non agire in maniera incisiva per la risoluzione radicale del problema, vanifica anche ogni altro mezzo di lotta per contrastare il caporalato, per cui ogni altra azione diventa inefficace. Detta situazione, costituisce per il lavoratore una violazione del suo diritto alla vita, del diritto alla salute, del suo diritto alla vita privata nonché lo sottopone a condizioni abitative inumane e degradanti, discriminandolo – conclude il legale – rispetto ai lavoratori agricoli stagionali italiani e comunitari».