Basilicata. L’osso in bocca: féssë a cchi chiangë

Gli aspiranti servi del padrone di turno. Quando la lingua biforcuta rientra nei ranghi della bocca chiusa

E’ un rompiballe, di quelli che a ogni piè sospinto urla parolacce contro le multinazionali del petrolio. Di quelli che grida insulti contro la politica e i politici e che critica, anche con un po’ di malizia e di invidia, le persone che hanno un certo tenore di vita. Lo fa sui social, per strada, ovunque. Con un italiano improbabile, perché scarsamente scolarizzato. Uno che dà fastidio. Non fa paura ai destinatari dei suoi anatemi, ma infastidisce. E’ anche petulante, insistente, invadente, nel chiedere per sé qualche vantaggio. Si scaglia contro il carnefice e nello stesso tempo aspira a diventarne alleato. Un giorno i “padroni” del suo paese gli sistemano il figlio, un bel posto retribuito regolarmente. Ma lui si lamenta, è troppo poco. Allora gli affidano dei lavori pubblici, un bel gruzzoletto. E così la sua lingua biforcuta rientra nei ranghi della bocca chiusa. L’osso in bocca con un po’ di carne attaccata è roba che non si rifiuta. Naturalmente la contropartita ha poco a che fare con il suo fastidioso abbaiare senza mordere. Alle prossime elezioni deve fare il suo dovere da scudiero del candidato. Chi è il candidato? Uno degli uomini destinatari dei suoi insulti.

Ecco, la Basilicata è piena di gente che scalpita contro tutti e tutto. Partigiani della giustizia, difensori del territorio, dell’ambiente, dei giovani, pronti però a calare le braghe dinanzi all’offerta del feudatario o del mafioncello del luogo. E allora l’osso in bocca, meglio se con un po’ di carne residua, ti cambia la visuale. Rende giustizia (a te), salvaguarda il territorio (di casa tua), cura l’ambiente (del tuo orto) evita l’emigrazione giovanile (dei tuoi figli). Tutto possibile se a un certo punto sei pronto ad indossare i finimenti del mulo.

Questo tipo di lucano appartiene alla schiera degli aspiranti servi del padrone. E molti di loro riescono a raggiungere lo scopo. Lo raggiungono anche attraverso tattiche elementari. Mi iscrivo a un’associazione pinco pallo, entro in un comitato vattelapesca e comincio a dare fastidio, mettendomi in evidenza. Volantinaggi, post sui social, lettere aperte, incontri su temi a casaccio, con l’obiettivo duplice di apparire un cittadino attivo e di colpire coloro che domani possono offrirmi l’osso. Spesso funziona. E non funziona soltanto ai livelli elementari come nel caso del neo scudiero appena raccontato, funziona anche a livelli “più alti”. Invento un’associazione culturale, faccio un po’ di movimento, tante moine, convoco i vecchi amici ad iscriversi e a partecipare, organizzo incontri su temi di interesse, invito politici graditi e mi rimetto in gioco sul mercato politico-elettorale. A quale scopo? Avere un posticino in qualche lista di candidati alle prossime elezioni. Queste associazioni nascono o rinascono in prossimità di competizioni elettorali. Quelli più furbi avviano il percorso anche a distanza notevole dal giorno delle elezioni, per non dare nell’occhio e prendere meglio per i fondelli l’opinione pubblica. Il loro motto? Féssë a cchi chiangë.

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