Il pregiudizio in un Salento perduto

Malepilu, della scrittrice Annamaria Gustapane, nella terna vincitrice del Concorso letterario Terre di Puglia

Malepilu è la storia di una ragazza dai capelli rossi, Francesca, talmente bella e consapevole della propria avvenenza, da far chiasso anche stando in silenzio. Il romanzo della scrittrice idruntina Annamaria Gustapane è ambientato negli Anni Settanta e parla di un “un Salento ancora intatto, che più non esiste: niente più palme svettanti, agrumeti in orti chiusi, distese verdecangianti di oliveti centenari: sconciati i paesini di intonaci lievi, periferie infette da zone industriali sorte e subito morte; mari senza più vita”.

Copertina libro

È la stessa autrice a parlarci della genesi della protagonista del romanzo: “Malepilu nasce per caso, un viaggio in Australia e la scoperta della sopravvivenza del pregiudizio contro i rossi di pelo, che pensavo appartenesse ad un passato ottocentesco o ormai solo letterario (Rosso Malpelo di Verga; Pel di carota di Renard; La Chimera di Sebastiano Vassalli). Non appena abbozzato il personaggio, Malepilu ha preso a camminare per suo conto: capita così che una creatura di carta e inchiostro prenda consistenza, e guidi lo scrittore asservendolo al suo raccontarsi”.

È un Salento perduto, luminoso e aspro, a fare da sfondo alle vicende di Malepilu, adolescente sottoposta al peso delle credenze superstiziose che nelle società tradizionali colpivano i bambini coi capelli rossi, su cui esiste ampia letteratura. Superstizioni che diventavano forzata suggestione, fino a mutarsi in convinta predestinazione, talvolta. Uno dei personaggi le sussurra, infatti: “Rossa Malpelo dalle ciglia scure e dalla pelle d’ambra, bizantini, arabi, normanni, greci hanno giocato a dadi il tuo destino”. Malepilu spaventa i personaggi del libro, è inquieta e perturbante. Come le storie dell’ampia letteratura del vampirismo, in un’epoca di transizione come furono gli anni Settanta, si stigmatizza duramente chi abbia avuto percorsi di vita diversi, per necessità o per scelta.

Come ricorda Vito Teti, ne Il vampiro e la melanconia, è antica la diffidenza verso le persone con tratti fisici distinti o peculiari; gli abitanti della Romania definivano strigoi le streghe o stregoni che si presumeva continuassero ad agire, dopo la morte. La parola striga indicava proprio le alte grida. Gli strigoi avevano solitamente peli e capelli rossi e venivano considerati demoniaci, latori di disgrazia.

Qui, i gesti della protagonista trovano movente nella percezione nettissima del rifiuto da parte della famiglia e del contesto, rimarcato dal continuo biascicare di detti popolari contro le persone con capelli rossi. Al contempo, Francesca è eroina della coscienza delle donne, si scrolla di dosso la polverosa tradizione delle società patriarcali che coprivano, sotto maschere di finzione e ipocrisia, diffuse consuetidini di taciuta violenza e sopraffazioni, a danno delle donne.

La storia del difficile rapporto tra Malepilu e la propria famiglia si infittisce di mistero quando, dopo l’ennesima intemperanza, la tredicenne Francesca viene mandata a trascorrere la stagione estiva a Macina Grande, una specie di gineceo abitato da alcune anziane e strambe zie. Una casa rosso pompeiano, senza foto sulle pareti. Solo un misterioso quadro, con un volto nascosto, sulla suppinna, il sottotetto delle case salentine, a copertura piana. Silenzi antichi che la trama del romanzo non manca di chiarire. Il convulso decennio in cui si incardina la storia sembra lontano: oltre il frinire delle cicale, oltre le quinte degli alberi e di pietra a secco, i forti contrasti sociali che animavano il duro confronto politico e sociale di quegli anni, emergono appena, affiorando nei battibecchi con Marzia, una giovanissima abitante del luogo, che si presenta come erede di pratiche magiche e inizia Malepilu ad alcuni dei segreti di Macina Grande, dove nessun uomo è ammesso e le zie conducono una specie di inquietante vita claustrale. “Macina Grande è un gineceo, è clausura cercata e voluta, estrema metafora di fuga da un mondo declinato solo al maschile.

Molto è cambiato da quegli anni ’70 ad oggi, in occidente è quasi estinta la razza dei padri padroni, i matrimoni ergastolo sono finiti, la pari dignità è principio se non altro annunciato, ma rigurgiti di prevaricazione e violenza sono quotidiani, le donne non possono rinunciare a tenere alta la guardia, basta poco a perdere il terreno conquistato a fatica”.

Il romanzo è recentemente entrato nella terna vincitrice del Concorso letterario Terre di Puglia.