Politiche (a)sociali

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      Che cosa sta succedendo in Basilicata sul terreno dei servizi sociali? Comuni in balia di se stessi. Regione senza bussola. Soldi che ci sono, ma non bastano. Operatori sociali licenziati e a rischio di licenziamento. Imprese sociali al collassoComuni che non pagano i fornitori di servizi sociali e spendono diversamente le risorse affidate dalla RegioneComuni che decidono di sospendere servizi essenziali con una semplice lettera. Nell’Ambito di zona del Basento sospesi i servizi di sostegno domiciliare alle persone con disabilità. Montemilone (Ambito Alto Bradano) minaccia di fare la stessa cosa. Pasticci, confusione, mancati controlli, assenza totale di governo. Dove finiremo? Intanto assistiamo ai soliti proclami ottimistici di assessori che spesso non sanno di che parlano.

    Nel 1998 finalmente il primo Piano sociale regionale

    Nel 1998 è pronta la prima bozza per il confronto e la discussione del primo Piano socio-assistenziale della storia regionale. Una bozza che contiene già i semi dell’innovazione, anticipando le linee della legge 328/2000 e superandola per alcuni aspetti. La bozza è oggetto di confronto e di discussione in molte riunioni indette dalla Regione, cui partecipano organizzazioni sindacali, enti locali, organizzazioni di terzo settore. Alla fine del 1999 la bozza, ormai diventata proposta definitiva, è approvata dal Consiglio Regionale. Nell’agosto del 2000 è ufficialmente costituita la Cabina di regia regionale con il compito di affiancare i Comuni nella costruzione del nuovo sistema dei servizi sociali. La Cabina di regia  affronta un cammino lungo e tortuoso, fatto di successi e sconfitte, in una situazione culturale e organizzativa degli enti locali e delle formazioni sociali, storicamente precaria. Centinaia di incontri formativi, di consulenza tecnica e di affiancamento: migliaia di persone coinvolte (sindaci, amministratori, operatori sociali, funzionari). Si costruisce lentamente l’impianto organizzativo del nuovo assetto e si mette a punto la strumentazione per la gestione associata e coordinata dei servizi sociali.

    Come il piano rifiuti, solo chiacchiere

    Passano gli anni, siamo al 2005. La Regione approva una legge, quella sulla cittadinanza solidale che toglie risorse al processo di innovazione dei servizi sociali, ancora in corso, e le scarica nel nulla. Decine di milioni di euro spesi in un contrasto alla povertà che si è rivelato un fiancheggiamento della povertà. Mentre i Comuni non avevano ancora strutturato esperienze e risorse organizzative sulla gestione della nuova (1999) pianificazione sociale, la Regione insiste con un’abbondante carico di responsabilità cui le municipalità non sono in grado di rispondere. Il provvedimento sulla cittadinanza solidale fallisce e il processo di piano sociale in corso subisce un grave colpo. Nessuno governa più niente già nel 2005. Gli sforzi degli anni precedenti vanno a mano a mano vanificandosi. Tutto quanto era previsto nel Piano in gran parte non viene attuato. Bisogna aspettare quasi dieci anni per avere l’osservatorio sulle Politiche Sociali. Naturalmente sulla carta, perché di fatto, ancora non funziona e se funziona non si capisce che cosa stia facendo. Un fantomatico Comitato di valutazione dell’Osservatorio Sociale, istituito nel 2005 si riunisce per la prima volta nel 2011. I componenti neanche ricordano più il motivo della loro nomina.  

    L’affidamento dei servizi

    Nel 1999 nell’ambito della nuova programmazione sociale, la Regione, con i Sindacati, l’Anci e le Organizzazioni cooperative, stabilisce regole di trasparenza e di equità nelle procedure di affidamento dei servizi sociali. In Italia in quegli anni la Basilicata è tra le regioni più avanti e più innovative nelle procedure di affidamento. Più della Lombardia. Passano gli anni, nessuno governa, nessuno controlla, nessuno se ne fotte. E ritorna la giungla, la confusione, la mortificazione delle regole. Si ritorna in sostanza allo stadio precedente, prima del 1998. Un fenomeno di ritorno è rappresentato dalle cooperative sociali fasulle. Piccoli padroncini, legati a minuscoli politicanti locali a loro volta legati al vassallo potentino o materano, che cercano di costruirsi piccole nicchie nel miserabile mercato sociale.

    Più passano gli anni e più si torna indietro

    Molti Comuni decidono di fare il contrario di quanto stabilito nella pianificazione regionale. Si riaprono tendenze campanilistiche, spinte alla frantumazione. Ognuno vuole fare per se. Nessuno ferma e frena queste tendenze. Gli operatori sociali dei Comuni sono dei precari senza speranza. Nessuno li ha mai formati al nuovo corso delle politiche sociali. Dei protocolli di integrazione tra aziende sanitarie e Comuni, se ne fa carta straccia. Intanto c’è il riordino delle Asl, intanto si approva la legge sulla cittadinanza solidale.

    Mancano le risorse

    Prima la colpa era di Berlusconi. Oggi è della crisi finanziaria. Fatto sta che il costo del lavoro nel settore dei servizi sociali ha subito un forte incremento, le ore di prestazioni sociali hanno subito una forte diminuzione e le imprese di terzo settore sono al collasso. Gli utenti subiscono costantemente una riduzione dei servizi e ormai più spesso una sospensione. Sospensioni decise con un fare burocratico raccapricciante. Come se le persone in difficoltà che utilizzano i servizi sociali fossero delle macchinette per il caffè. I soliti proclami dal vertice delle istituzioni ci hanno raccontato il contrario. Non perché gli amministratori regionali sono cattivi, ma perché non vivono nella realtà. Non sanno niente di ciò che dovrebbero sapere, per cui non esercitano fino in fondo le responsabilità. Non controllano i flussi di risorse ai Comuni, i quali a volte utilizzano le risorse vincolate ai servizi sociali per pagare altri debiti. La conseguenza è che le imprese sociali non sono pagate, i lavoratori accumulano ritardi nella retribuzione, i servizi sociali finiscono nel caos. Chi controlla? Nessuno. Chi governa? Nessuno.

    Il meccanismo di pulcinella

    La Regione trasferisce le risorse ai Comuni i quali con quelle risorse dovrebbero garantire i livelli minimi essenziali di servizi previsti dal piano regionale. Non esistendo alcuna pianificazione di zona, e tanto meno una politica sociale integrata, ancor meno forme serie e sostanziali di integrazione operativa tra sociale e sanitario, appena finiscono le risorse smettono di esistere i servizi. Una specie di bamcomat con il limite mensile. Una vergogna tutta lucana. Una Basilicata che dalla posizione di regione innovativa nel panorama nazionale è diventata un territorio da quarto mondo nelle politiche sociali.

    Il pasticcio delle Comunità Locali

    Dovevano saltare i vecchi ambiti sociali di zona (piano del 1999) sostituiti dalle Comunità Locali che avrebbero a loro volta sostituito le Comunità Montane. Passano gli anni e si cambia. Niente Comunità Locali, ma Aree di programma. Queste ultime chissà se entreranno in funzione entro l’anno prossimo. Magari si cambierà nuovamente senza fare alcunché. La produzione di incertezza e di confusione è a ritmo industriale. Intanto i vecchi ambiti sociali sono ancora lì, ma senza un governo, senza certezze, e con la possibilità che ognuno faccia come gli pare.

     Le responsabilità politiche

    Con Gennaro Straziuso, assessore alla sanità, il fronte delle politiche dei servizi sociali, subisce un arretramento immediato. Straziuso non sa che cosa è accaduto prima del suo insediamento in Via Anzio. Qualcuno glie lo spiega, ma non sembra ci sia una grande comprensione. Lui ha un problema fisso in testa. Gli ospedali e i primari. Appena insediato pensava che l’ADI fosse un’associazione. No assessore, per Adi si intende “assistenza domiciliare integrata.” Arriva Rocco Colangelo. Si fa la legge sulla cittadinanza solidale. Duro colpo al sistema di welfare, già indebolito da Straziuso. Colangelo ha in mente una sola fissazione: ridurre le Asl. Il resto è marginale. Il sistema dei servizi sociali subisce un altro grave colpo. Ormai già in quegli anni nessuno governa più niente, i Comuni danno forti segnali di sbandamento e di cedimento al passo del decennio precedente. Arriva Antonio Potenza. E qui ogni commento è inutile. Poi arriva Martorano. Proclami, ospedali, nuovo piano socio-sanitario. Dei servizi sociali non se ne parla. Nella bozza di nuovo piano socio-sanitario che dovrebbe finalmente, dopo oltre dieci anni, sostituire anche il vecchio piano sociale, le imprese sociali neanche sono nominate. Nei capitoli sui servizi per la salute mentale, sulla pianificazione territoriale emerge una confusione enorme. Ma il maggiore responsabile è lui, il presidente che predica l’innovazione da qualche anno. Naturalmente, di approvare il nuovo piano socio-sanitario, ancora c’è tempo.

    L’organizzazione regionale per la gestione delle politiche sociali

    Accanto a ragionieri comunali carenti delle necessarie competenze, accanto ai segretari comunali che non hanno la minima idea di che cosa significa nuova letteratura amministrativa e nuove forme di gestione dei servizi sociali, si aggiunge un’organizzazione dipartimentale regionale che fa acqua da tutte le parti. Non si capisce chi ha la responsabilità di che cosa.  E’ allo studio un provvedimento per l’accreditamento dei servizi e delle strutture socio-educative, da molti anni. Chissà quanti anni passeranno ancora. In Basilicata sono sempre in corso studi, insediamenti di commissioni, nomine di coordinamenti e cosi via. Il resto, cioè le cose da fare, non si sa mai chi le fa.

     Tanto per fare un esempio di ridicola gestione

    Il Dipartimento di salute mentale dell’Asp è senza governo nonostante pare abbia un responsabile. I responsabili territoriali delle strutture residenziali fanno quello che vogliono, spesso quello che fa la mano sinistra è sconosciuto alla mano destra. Servizi uguali regolamentati in maniera diversa, con costi diversi, con metodologie a piacere. Nel capitolo dedicato alla salute mentale, della bozza di piano socio-sanitario, i posti di centro diurno sono conteggiati come posti letto. Sono centri diurni o notturni? Alcuni psichiatri anziché fare i medici, si sostituiscono agli operatori sociali, sembra sia più divertente. Perché quando fanno gli psichiatri si annoiano. Infatti stare lì a prescrivere farmaci non è la cosa più divertente del mondo. Ma vediamo qual è il percorso di una fattura per forniture nel semplicissimo sistema di gestione del Dsm e dell’Asp, in attesa che le cose si mettano a posto (quando?). Se sei fornitore di un servizio attestato alla ex Asl di Lagonegro devi inviare il documento all’ufficio protocollo della ex Asl 3. Il protocollo manda la fattura per codifica alla ragioneria che la invia all’ex Dsm dove preparano la determina di liquidazione che firma il responsabile dell’ex Dsm, quando c’è. Fatto questo, la determina va alla firma di un funzionario all’Asp, quindi a Potenza, sperando che quel giorno il funzionario sia in ufficio. Dopo la firma del funzionario dell’Asp la documentazione torna a Lagonegro per l’emissione del mandato di pagamento. Da Lagonegro a Potenza andata e ritorno c’è un commesso che fa due viaggi a settimana in macchina per “trasportare” questa documentazione. Siamo, come si vede, difronte all’ennesima innovazione.

    Riepiloghiamo

    La situazione è grave sotto molti punti di vista. I Comuni non riescono a gestire le difficoltà derivanti da una disorganizzazione totale del governo dei servizi sociali, oltre che dalla colpevole scarsità di risorse. I notevoli ritardi nei pagamenti alle imprese sociali, provoca gravi danni ai lavoratori oltre che agli utenti. Alcuni Comuni, con l’acqua alla gola, utilizzano parte dei trasferimenti regionali per far fronte a spese diverse, persino per pagare opere pubbliche, o per pagare altri debiti. Nessuno controlla nessuno. Nessuno ha il governo dei processi. A tutto questo si aggiunge il patto di stabilità governo-regioni che non è stato firmato dagli anziani, o dai bambini poveri e tanto meno dalle persone con disabilità. E’ stato firmato dalla Regione la quale, come è accaduto in altre parti del Paese, avrebbe dovuto adottare misure di contenimento dei disagi che il blocco dei pagamenti provoca nei servizi di welfare. La legge regionale di riforma del welfare non è applicata. I Comuni dal canto loro navigano a vista, litigano, minacciano continue interruzioni dei servizi sociali che, tra l’altro funzionano malissimo e non per responsabilità degli operatori. I provvedimenti assunti in materia di non autosufficienza sono come un vestito da sera griffato dai falsari. Un tentativo di esibire innovazione nelle caverne. A questo aggiungiamo il pasticcio istituzionale dei Pois, delle Comunità Locali, delle Aree Programma. Insomma.

    Che cosa si può fare?

    Intanto bisogna stare dietro alle questioni dalla mattina alla sera, evitando lunghe campagne elettorali che durano una legislatura. Evitando molte “notti dei lunghi coltelli”. Evitando sprechi di risorse organizzative e lavorative all’interno del Dipartimento sicurezza sociale. Per cui tutti sono impegnati in altre faccende tranne che in quelle che riguardano i cittadini. Applicare quanto c’è di buono nella legge regionale di riforma del welfare, la n. 4/2007. Creare un sistema di regole certe nei servizi per la salute mentale. Elaborare un Piano di welfare per lo sviluppo che sia integrato e armonizzato con tutto il resto; con le politiche per la casa e dell’istruzione, con le politiche di inclusione e del lavoro. Istituire un dipartimento regionale per le politiche sociali, con mezzi e risorse umane, distaccato, ma integrato con la Sanità. Questa è una Regione dove prima si pianifica e poi si fa l’Osservatorio sulle Politiche Sociali. Oggi non c’è la pianificazione e neanche l’Osservatorio, istituito sulla carta, ma del quale si sono perse le tracce nella realtà. I titoli chiave per uscire dal tunnel sono: programmazione integrata, coordinamento interdipartimentale per le politiche sociali, formazione degli operatori, regole certe e governate del sistema di erogazione dei servizi, massiccio investimento nelle competenze. Molti provvedimenti sono stati scritti copiando e incollando testi e idee di realtà completamente diverse dalla Basilicata. Ormai da dieci anni il Governo regionale si è dimostrato incapace di affrontare i temi fondamentali dello sviluppo legato alle politiche sociali e di inclusione. Perciò, un’altra bella cosa che si potrebbe fare è mandare a casa chi non capisce o fa finta di non capire.

     Estratto dell’inchiesta pubblicata sul numero 17 del giornale Basilicata24 in edicola

     

     

     

     

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