Sentenza di assoluzione per Di Bello: “Un processo che non avrebbe mai dovuto essere celebrato”

No Triv: "A Peppe spetta il riconoscimento del reintegro nei ruoli e nelle funzioni, al netto del recupero di quanto indebitamente gli è stato sottratto in tutti questi anni!"

 Entro i prossimi 60 giorni sarà possibile conoscere nel dettaglio il dispositivo della sentenza di assoluzione emessa nei confronti di Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia provinciale di Potenza, da 8 anni illecitamente demansionato, declassato, relegato in uno stato di punizione preventiva e prolungata in un ufficio del Museo Archeologico di Potenza per aver rivelato gli allarmanti valori dei diversi inquinanti ufficialmente riscontrati nella acque degli invasi di Monte Cotugno, del Pertusillo, della diga della Camastra, esercitando con esemplare sensibilità e cultura del bene comune il diritto all’informazione a tutela della salute pubblica, nello spirito della Convenzione di Aahrus.

La sentenza di assoluzione, al culmine di un travagliato e complesso iter processuale che attraversa dal 2012 il Tribunale di Potenza, la sua Corte di Appello nel 2013, quindi la Corte di Cassazione nel 2015, la Corte di Appello di Salerno nel 2016, a sua volta annullata dalla Corte di Cassazione nel 2017, è stata emessa lo scorso 6 dicembre dalla Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli.

Oggi salutiamo con gioia la notizia di assoluzione, pur con l’amaro in bocca per un processo che non avrebbe mai dovuto essere celebrato, non fosse altro perché altri, per lo stesso motivo, non hanno mai dovuto scomodarsi.

Non fosse altro perché chi aveva denunciato Peppe il 7 Gennaio  2010 era l’allora Assessore regionale all’Ambiente, a processo per “Scontrinopoli”; perché l’ex Comandante della Polizia Provinciale ( in seguito promosso dirigente regionale al Dipartimento Ambiente) chiedeva addirittura il suo licenziamento, mentre lo stessa era sotto processo per abuso d’ufficio. Nessuna solidarietà istituzionale, nessuna solidarietà politica. Soltanto un’infamante e persecutoria campagna stampa, sotto una pioggia di note e provvedimenti vessatori perpetrati da una surreale orchestra politica, i cui comprimari sono stati dirigenti e funzionari provinciali e regionali.

E’ normale essere obbligato a stare per pochi giorni in servizio presso il Museo Provinciale per poi restarci 8 lunghissimi anni?

E’ normale, in un paese dove ad ogni piè sospinto si invocano i diritti costituzionali, restare l’ultimo dipendente di un ente provinciale, mentre tutti gli altri sono transitati in Regione? Dopo l’annullamento (29 marzo 2017) da parte della Corte di Cassazione della sentenza della Corte di Appello di Salerno, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio, visto che la Cassazione spiegava che il nuovo giudice, nelle procedure di verifica della causa di non punibilità, avrebbe dovuto considerare elementi di fatto precedentemente esclusi dalla valutazione dei giudici potentini e salernitani, non essendo stati sufficientemente valutati l’incensuratezza dell’imputato e l’assenza di un proprio interesse privato, nonché l’interesse pubblico dallo stesso perseguito, tantomeno la mancanza di un nocumento all’indagine giudiziaria e ad altri interessi pubblici, si poteva già ritenere che la Suprema Corte aveva emesso una sostanziale sentenza di assoluzione.

E’ sulla base di quella sentenza della Cassazione che Di Bello inviava all’allora Presidente della Provincia di Potenza la richiesta di riammissione nei servizi e nei ruoli antecedenti il provvedimento disciplinare del maggio 2010.

Ad oggi, nonostante la sentenza, nonostante le richieste ufficiali e motivate, un assurdo quanto kafkiano iter processuale si sta trasformando in un paradosso dai tratti surreali, caratterizzati da umiliante perdita della dignità del lavoro, da un demansionamento a rischio strutturale, da un mobbing con pochi precedenti nel panorama recente della pubblica amministrazione, mentre restano impuniti dirigenti indagati per  corruzione, disastro ambientale, abuso d’ufficio ed altro ancora.

Ai tempi dei primi provvedimenti Peppe aveva tra l’altro maturato 10 anni il ruolo in qualità di Comandante del distretto di Potenza e così come previsto dalla Legge sull’Ordinamento della Polizia Locale gli sarebbe spettato passare al grado di maggiore.

Bloccato dal 2010 in virtù di questa brutta storia al grado di Tenente col riconoscimento delle sole spettanze di base, ha visto dileguarsi tutte le indennità da sempre percepite, ormai per oltre 8 anni, senza il riconoscimento di alcun aggiornamento professionale, senza vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione dell’uniforme, mentre doveva assistere alla progressione orizzontale degli altri.

Bene, adesso basta! A Peppe spetta il riconoscimento del reintegro nei ruoli e nelle funzioni, al netto del recupero di quanto indebitamente gli è stato sottratto in tutti questi anni!

L’impegno di Di Bello per la salute, l’ambiente, la democrazia partecipata, è noto non soltanto in Basilicata, ma su scala nazionale.

A lui, alla generosità di un militante che ha sempre camminato a testa alta tra i perigli e le minacce di quanti hanno interessi loschi nella gestione della “monnezza”, degli inceneritori, delle attività estrattive, tutti noi dobbiamo molto.

L’attività di Peppe si intreccia con le sue denunzie, così come con l’evoluzione dello scontro contro il dilagante estrattivismo che è andato crescendo negli ultimi anni in questa regione.

Non è immaginabile infatti separare le fasi di transizione ad una più aggressiva politica estrattiva dal crescendo di minacce e denunzie.

Non è possibile scrivere la storia dei conflitti ambientali in Basilicata ed in Italia senza tener conto del ruolo e dell’apporto di figure come il tenente Di Bello.

E’ per questo che la sua vicenda rappresenta un monito ed un insegnamento denso di significati per quanti con lui vogliono portare avanti una battaglia per il bene comune e per trasformare la sua assoluzione nella condanna dei potenti.

Coordinamento No Triv Basilicata