Antonio Infantino, il Prometeo lucano

Due anni fa moriva il grande musicista di Tricarico. Il ricordo di Graziella Salvatore

Due anni fa moriva Antonio Infantino. La notizia mi raggiunse un mattina di gennaio. Un messaggio di mio nipote Stefano, la notizia era già circolata sui social. Non volevo, non potevo crederci. Una persona come lui non può morire. Voglio dire, era più di un musicista, più di un filosofo, più di un personaggio. Antonio Infantino è un gigante, un Prometeo amico dell’umanità e della sperimentazione. Le persone come lui non possono morire. Quando lo incontravi la sua fragorosa risata ti avvolgeva, così, ti stringeva la mano e sentivi l’energia della terra, del fuoco, dei fiumi, dell’aria e della musica del mondo. Così, in un istante.

Dicevo, non volevo crederci. E come puoi crederci? L’energia della terra può così, da un giorno all’altro fermarsi? Esattamente due anni fa.

Portai mio figlio al suo funerale, era la prima volta per lui. Perché sì, Antonio Infantino era mancato davvero. Lo sciamano, il Tarantolato di Tricarico, il Prometeo lucano. Può uno sciamano morire? No, non può. Ed il suo funerale fu un inno alla vita. Musica, canti, balli, il ritmo tribale dei tamburi e la voce antica, possente del suo allievo prediletto, XiHan Zhang, un talentuoso ragazzo cinese, l’Oriente e l’Occidente che si fondono. Quel giorno, in XiHan  ho rivisto il mio Antonio, lo sciamano che con i suoi incantesimi musicali ha reso immortale la Basilicata.

infantino
XiHan e Antonio Infantino (Foto Antonio Pagnotta)

Una “terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose” scriveva Carlo Levi. Antonio Infantino ha avuto la capacità di trasformare quel dolore. In lui ha sempre prevalso la pulsione di vita. Lui è la vita.

Dicevo, ho portato mio figlio al funerale, perché i funerali rappresentano la vita. Ne sono la prova. Ed Antonio Infantino non amava soltanto la vita ma la viveva, la risolveva come si fa con i problemi. Mi ha insegnato a riconoscere il fascino della Basilicata, a conoscerne le radici e la storia, a capirne le contraddizioni della sua dolente umanità. Infantino era un uomo di una tale eleganza e nobiltà d’animo. Antonio era un gentiluomo, un gentiluomo del Sud.

Antonio Infantino con Graziella Salvatore

Ricordo, fu il primo a difendere i miei capelli bianchi, la mia scelta di non nasconderli, di non colorarli. La mia scelta di libertà, perché lui capiva bene che i capelli rappresentano la forza delle donne.

Dicevo, può uno sciamano, un Prometeo che ruba il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini, morire? Ci riflettevo, in quella fredda giornata di due anni fa.

E la risposta arrivò, dalla bocca di mio figlio, un bambino. Già i bambini. Per uno sciocco istinto di protezione a volte preferiamo evitargli il confronto con la morte. Quel giorno, mio figlio Gabin Dante dixit. Elaborò il lutto più velocemente di me. Era sereno: “Mamma nessuno muore davvero se resta nei pensieri di qualcuno”.

Hai ragione Gabin. Antonio Infantino, in fondo, non morirà mai. La memoria serve al futuro, anche al futuro di mio figlio. Fin da quando era piccolo, cantiamo insieme uno dei suoi capolavori, una filastrocca, un ritmo travolgente:

“Secondo gatto, secondo gatto non fu allora chi fu

‘A gatta mammona ‘a gatta mammona
‘A gatta mammona ‘a gatta mammona
‘A gatta mammona non fu non fu non fu
E allora chi fu ?