Basilicata. Il giornalismo senza giornali e i giornali senza giornalisti

Sarebbe l’ora di una profonda autocritica che seppellisca ogni ipocrisia. Sbagliato affidare alla politica soluzioni miracolose

Nella conferenza stampa di inizio anno, il presidente della Giunta regionale Vito Bardi ha annunciato l’intenzione “di fare una legge quadro per l’editoria, una legge di sistema che riguardi tutti, web, carta stampata, televisioni, radio e agenzie”. Prima della conferenza, l’Ordine dei Giornalisti e l’Associazione della stampa hanno diffuso un comunicato – sotto forma di lettera aperta – con cui rilanciano l’allarme per “la grave situazione del sistema dell’informazione in Basilicata”. La lettera ben segnala le criticità – anche gravi – che l’informazione lucana affronta ogni giorno.

Tuttavia, esistono altri problemi, anche questi gravi – anzi gravissimi – che chiamano in causa direttamente giornalisti e giornalismo, editori e sistema dell’editoria. Problemi che nessuno mai solleva e che, anzi, per alcuni, non sono una preoccupazione.

L’Ordine dei giornalisti, da tempo, forse molto tempo, non sembra esercitare un ruolo significativo di controllo sul rispetto, da parte di noi giornalisti, della deontologia professionale. Assistiamo, non raramente ormai, a continue violazioni deontologiche. Titoli farlocchi, espressioni inopportune e tendenziose, forzature di ogni tipo. Gente che firma articoli senza che il giornale si preoccupi di qualificarla, per cui il lettore non sa se si tratti di un giornalista, di un insegnante, di un imprenditore o di un cittadino qualsiasi.

E non ci esprimiamo sulla gestione amministrativa e organizzativa dell’Ordine, poiché non abbiamo conoscenza diretta del suo funzionamento. Per esempio, non sappiamo in base a quali criteri si facciano le assunzioni e in base a quali criteri si decidano eventi, seminari, corsi, e relatori, per la formazione obbligatoria e aggiornamento professionale. Non lo sappiamo, perciò non abbiamo, al momento, nulla da dire.

La Basilicata pullula di giornalisti, specie pubblicisti. Circa 200 professionisti e oltre 700 pubblicisti, un numero spropositato. Qualcuno si assume la responsabilità di questi numeri?  Molti di loro, i professionisti, non sanno da che parte iniziare una carriera. Offerta eccessiva, scarsa la domanda. E allora si punta agli uffici stampa, a un impiego o incarico pubblico. E gli spazi della libertà si restringono. I pubblicisti, poi, sfornati a centinaia negli anni, senza alcun criterio, e magari senza aver mai scritto un pezzo, invadono il campo e conservano il tesserino per tirarlo fuori all’occorrenza. Lo usano – il tesserino – per darsi un tono o per le necessità più varie. Ovviamente – tranne pochissimi – non fanno i giornalisti, ma tutt’altro. Eppure, spesso impediscono ai giornalisti veri di aprirsi qualche spazio.

E così, crescono pagine che si autodefiniscono giornali senza alcuna iscrizione e senza alcun criterio giornalistico, che creano confusione nell’opinione pubblica già limitata nella capacità di distinguere l’informazione e il giornalismo veri dalla paccottiglia del web. Aggregatori di notizie che hanno lo scopo di assemblare pubblicità attraverso l’alibi dell’informazione.

E sempre attraverso l’alibi dell’informazione non è escluso che qualcuno – editore o giornalista che sia – usi la stampa come clave o spauracchio per tutelare interessi che nulla hanno a che fare con la missione giornalistica.

E così, il vanitoso di turno si inventa un giornale dalla mattina alla sera. Possibile, perché lui è un pubblicista. Scopiazza di qua e di là notiziole alla spicciolata e ha anche l’ardire di commentarle.

E così, si fa “giornalismo” sui social, ci si improvvisa inviati, investigatori con l’alibi del tesserino da pubblicista o senza nemmeno avere quello.

E così, alcuni cosiddetti giornali on line senza un numero di telefono, senza una redazione né un indirizzo, invadono il web e – come è capitato in questi giorni – fanno titoli falsi che nulla hanno a che vedere con i contenuti del presunto articolo. E, forse, si prestano a pubblicazioni comandate in cambio di qualche spicciolo.

E poi, diciamocelo, molti non sanno neanche scrivere in un italiano dignitoso. Il giornalista, tra l’altro, deve avere delle competenze e un buon bagaglio culturale. Accade anche che un signore scriva di argomenti di cui non conosce neanche l’abc, però ha il tesserino.

Senza fare di tutta l’erba un fascio, di pressappochismo, ipocrisie e sciatterie, è pieno il mondo lucano dell’informazione: dalla carta stampata al web, dalle testate televisive – compresa quella del servizio pubblico – alle radio. E in alcune circostanze è evidente che qui la libertà di stampa è una barzelletta.

Sono veri i problemi del settore dell’informazione in Basilicata esposti dall’Ordine e dall’Assostampa nella lettera aperta. Tuttavia, attribuire ad altri l’esclusiva responsabilità delle soluzioni, non sembra realistico in queste condizioni. Fin quando esisterà il far west nel giornalismo lucano, fin quando continuerà l’ipocrisia di giornali e giornalisti, incapaci di guardare e vedere le proprie travi malridotte, nessuna legge potrà fare granché. Fino a quando gli editori o cosiddetti tali, non aderiranno a principi di responsabilità e correttezza, nessuna legge sull’editoria potrà fare granché.

Sarebbe l’ora di una profonda autocritica che seppellisca ogni ipocrisia. E quindi, una rivoluzione tutta interna al giornalismo lucano. Senza questo coraggio, è inutile aspettarsi dalla politica risposte miracolose, sarebbe l’ennesima ipocrisia.