La Basilicata non ha alcuna idea di dove andare, le manca una Visione

La politica e la società, in questo tempo, dovrebbero levare lo sguardo dal pianerottolo per volgerlo verso l’orizzonte

Se qualcuno dovesse domandarmi “che cos’è la Basilicata”, non avrei altra risposta che questa: “la Basilicata non si può spiegare, per capirla devi viverla”. In fondo è così per tutti i luoghi che conservano un qualche mistero. E allora che cosa significa avere una Visione futura di un luogo che non è solo un luogo, ma è un intreccio dinamico di suoni, parole, relazioni, storie, architetture, paesaggi, natura, sconfitte, riscatti, vite? Di un insieme “caotico” di variabili sociali, economiche, politiche, culturali, antropologiche che si incontrano e si scontrano nel quadro vitale di carsiche entropie? Di un luogo animato da paradossi e contraddizioni, da dissonanze cognitive collettive, da lati oscuri inafferrabili alla coscienza civile, da profonde ferite e lunghe guarigioni?

Il significato di Visione

Avere una Visione e dichiararla significa sapere dove si vuole andare, sempre che si voglia andare da qualche parte nel futuro o, al contrario, si voglia seguire la corrente degli avvenimenti restando fermi nel presente. Negli ultimi decenni abbiamo seguito la corrente, ci siamo adattati alle sollecitazioni esterne, abbiamo accolto acriticamente modelli di crescita a caro prezzo.

Si può continuare a stare fermi lasciandosi spingere spesso indietro da forze esogene? Direi di no. E dunque occorre una Visione: l’immagine futura della vita in questo luogo. Che cosa vogliamo che la Basilicata sia nel prossimo futuro.

C’è chi ritiene che la Visione sia una quisquilia, roba da filosofi, aria fritta, un qualcosa che ci porta sulle nuvole allontanandoci dalla realtà nuda e cruda. Non la pensano allo stesso modo le aziende, le grandi imprese, le corporation. Loro sanno benissimo che la Vision è una struttura di orientamento fondamentale per le politiche di crescita e sviluppo. Infatti, loro, la Visione la dichiarano, perché hanno la necessità di vedere oltre.

Chi ha una Visione sa dove vuole andare (essa indica una precisa destinazione, e insieme una via), sa cosa vuole costruire, perché essa indica un mondo reale, insieme utopistico, perciò possibile. I rivoluzionari francesi del diciottesimo secolo aveva­no una grande Visione dichiarata nei valori “libertà, uguaglianza, fraternità”. Valori che nutrivano una visione che indicava una via, la via verso una nuova società, verso un nuovo Stato. Gli uni immaginavano e desiderava­no qualcosa di completamente opposto a ciò che immaginava­no e desideravano gli altri. Per fare un altro esempio: “Lo Stato sono io”, si contrapponeva al “popolo sovrano”. Due dichiarazioni di Visione che indicavano una direzione opposta.

Perché è importante avere una Visione e non solo un programma

La Visione è il fattore originario d’ogni trasformazione. C’è sempre una ragione per cui si fa qualcosa, si assume un provvedimento, si mette a punto un Piano.  E questo non può essere riconducibile al solo presente, all’atto dell’azione in sé, ma ha sempre una qualche relazione si­gnificativa con il futuro.

Per scegliere una direzione da seguire, la politica, chi governa devono prima aver sviluppato un’immagine mentale di una condizione futura auspicabile e desiderata del territorio che si amministra. Tale immagine, può esse­re vaga come un sogno o precisa come un obiettivo. Averla o non averla (la Visione) non è una faccenda banale. Essa ci consente di mettere a fuoco il futuro, di scru­tare l’orizzonte.

Nel lavoro politico la visione è molto di più. Non è soltanto la rappresentazione intellettuale di un futuro possibile e rag­giungibile per il proprio Paese o per la propria regione, ma è l’immagine mentale della comunità che si desidera, della società che si vuole vedere affermata, del territorio che si vorrebbe costrui­re, dell’eredità che si vuole lasciare alle bambine e ai bambini di oggi.  Ecco perché i lucani dovrebbero chiedere alla politica una Visione non un programma, non un elenco di promesse, di intenzioni o di cose da fare. Una Visione che sia o meno condivisibile, ma che sia la ragione del mandato a governare un territorio.

E invece…

La politica propone programmi, misure, tattiche, strategie, suggestioni. Fa il salto della rana ragionando per obiettivi senza che questi obiettivi siano legati a una missione sociale e, in definitiva a una Visione. Sembrerà strano, ma il fallimento delle politiche di welfare, della sanità, o anche di quelle industriali, o di quelle legate agli incentivi per l’occupazione, insomma a tutte le politiche di sviluppo, è figlio della mancanza di Visione. Il possibile fallimento delle prossime misure messe a punto per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund, e altre,  sarà anch’esso figlio della mancanza di Visione, come già accaduto in passato. Ed è esagerata l’esultanza con cui oggi si annuncia l’istituzione, nell’ambito delle prerogative del Consiglio regionale, di una Commissione speciale per il Recovery Fund. La questione al centro delle discussioni sarà “come spendere il denaro”. Non basterà la dialettica tra chi tira per una sanità o un welfare migliori e chi per la digitalizzazione o la transizione energetica. Nel migliore dei casi, entreranno in gioco culture e sensibilità diverse, ma nel vuoto di una Visione. Nel peggiore e più probabile dei casi entreranno in gioco interessi, potere, denaro nel quadro di contrapposte esigenze di consenso politico e elettorale. Noi di questo giornale ci auguriamo, tuttavia, che il Consiglio regionale nella sua interezza sappia trovare le fondamenta di una visione condivisa, per non sprecare ancora una volta, tempo e risorse. Dobbiamo levare lo sguardo dal pianerottolo e volgerlo all’orizzonte. E’ un dovere verso i nostro figli.