Due imprenditori potentini in carcere: “fondi sottratti dalle casse di 4 comuni lucani”

Già ai domiciliari da gennaio, avrebbero continuato ad intrattenere rapporti con terzi per "addomesticare" le indagini e sottrarre i beni al sequestro

Due imprenditori, Gianvito Larotonda e Gianluca Santoro, rispettivamente di Atella e Ruvo del Monte, già ai domiciliari, nella giornata di ieri, 19 aprile, sono stati trasferiti in carcere, su disposizione del Gip del Tribunale di Potenza, per aver disatteso alle limitazioni a cui erano sottoposti a seguito dell’arresto, avvenuto il 22 gennaio scorso, nell’ambito dell’inchiesta Cashback coordinata dalla Procura di Potenza.

L’indagine aveva portato alla luce una presunta sottrazione di fondi dalle casse di quattro comuni lucani, Ripacandida, Oppido Lucano, Genzano di Lucania e Cancellara ad opera di un funzionario della banca che gestiva il servizio di tesoreria dei quattro comuni, il quale con artifizi avrebbe distratto fondi pubblici, calcolati in oltre due milioni di euro, di cui si sarebbe appropriato in favore suo e dei suoi complici. Il bancario anziché pagare il dovuto agli Enti Pubblici che dovevano essere destinatari delle somme, secondo quanto emerso dalle indagini, in realtà emetteva bonifici bancari in favore di tre imprenditori compiacenti, tra cui appunto Larotonda e  Santoro.

A seguito di ulteriori indagini coordinate dalla procura potentina e svolte dalla Guardia di Finanza, la posizione dei due indagati è risultata aggravata dalla condotta tenuta nonostante la misura cautelare a cui erano sottoposti.

Larotonda disattendendo agli obblighi conseguenti al regime limitativo della libertà personale cui era sottoposto, che prevede, tra gli altri, il divieto di comunicazioni con soggetti terzi ad esclusione dei propri legali e dei familiari conviventi, avrebbe intrattenuto numerose conversazioni telefoniche, in cui, peraltro, parlava di fatti attinenti alle indagini in corso. Al contempo, l’imprenditore avrebbe impartito istruzioni e disposizioni sulla prosecuzione e gestione della sua attività imprenditoriale, prefigurando, già, una nuova veste giuridica da dare alla società coinvolta nelle indagini per ovviare alle problematiche conseguenti ad un’eventuale sentenza di condanna.

Santoro invece non solo avrebbe parlato con soggetti terzi, cercando di trovare anch’egli degli escamotage per garantirsi una continuità aziendale, dando in tal senso sia disposizioni per dirottare i pagamenti in arrivo verso nuovi conti ed evitare il sequestro, sia ipotizzando la creazione di una nuova società da intestare a un prestanome, ma avrebbe millantato la possibilità di suoi familiari di “addomesticare” le indagini e riottenere velocemente quantomeno la libertà personale.

Nel contempo, la Guardia di Finanza, su direttive della Procura ha proseguito le investigazioni con una meticolosa ricostruzione delle movimentazioni finanziarie individuando ulteriori beni da sottoporre alla misura reale del sequestro preventivo per equivalente disposta nel medesimo procedimento penale, sequestrando disponibilità sui conti dei quattro indagati per oltre 1,2 milioni di euro.