Legambiente denuncia e documenta perdite di metano in atmosfera

In Basilicata, la Regione del Bonus Gas, i monitoraggi effettuati lo scorso ottobre evidenziano ingenti dispersioni di metano dagli impianti della filiera degli idrocarburi

In Italia sono diversi gli impianti lungo l’intera filiera del gas fossile e del petrolio in cui si verificano emissioni di metano in atmosfera. Su 25 impianti monitorati tra Sicilia e Basilicata, in ben 13 sono state individuate delle emissioni di metano significative: 15 casi di rilasci diretti (venting) e 68 perdite, per un totale di circa 80 punti di emissione individuati. Emissioni silenziose e non visibili a occhio nudo, causate da una scarsa manutenzione degli impianti, da possibili guasti, ma anche alla pratica del venting (ossia il rilascio volontario e controllato di gas in atmosfera) e che, oltre a rappresentare uno spreco di risorse, costituiscono una minaccia per il clima. Il metano è, infatti, un gas fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni dal suo rilascio in atmosfera.

È quanto denuncia Legambiente che documenta la presenza di emissioni di metano in siti della filiera del gas fossile e del petrolio presenti nella Penisola. Il monitoraggio, realizzato lo scorso ottobre nell’ambito della campagna di informazione e sensibilizzazione “C’è Puzza di Gas”, è stato realizzato con una termocamera a infrarossi “FLIR GF320”. Le immagini sono state raccolte in un video. Le perdite di metano sono state individuate in differenti componenti delle infrastrutture come bulloni, valvole, giunture, connettori e contatori, dimostrando uno scarso livello di manutenzione.

Di fronte a questo quadro preoccupante, Legambiente torna a chiedere interventi concreti da parte dell’Italia per monitorare, controllare e ridurre le emissioni di metano. Ad oggi nella Penisola non esistono adeguati strumenti normativi che impongano un monitoraggio costante di quanto avviene nelle diverse infrastrutture e ciò rende complesso identificare e quantificare le fughe, ostacolando un’analisi dettagliata sull’entità reale del problema. Per questo è fondamentale che l’Italia adotti, in primis, una regolamentazione efficace e sistemi di controllo al fine di penalizzare le emissioni, e il conseguente spreco, di gas fossile. È fondamentale, inoltre, che il nostro Paese tagli i sussidi alle fonti fossili e dia un’accelerata alla riduzione delle emissioni di metano, un tema quello della riduzione già al centro del Global Methane Pledge un patto sottoscritto da cento paesi all’ultima COP26 di Glasgow del 2021.

“In un contesto globale di lotta alla crisi climatica – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – una rapida riduzione del metano in atmosfera può portare ad una frenata del cambiamento climatico. Per questa ragione oggi è più che mai urgente intervenire per contenere le emissioni di metano fossile, ovunque queste si verifichino. Lungo l’intera filiera del gas fossile e del petrolio, infatti, sono presenti perdite di metano stimate tra l’1 e il 3% del totale trattato, che oltre a rappresentare un nemico per il clima sono un enorme spreco, anche alla luce dell’attuale crisi energetica che viviamo. Sul fronte della politica energetica l’Italia, inoltre, deve abbandonare la strada delle fonti fossili rafforzata dalla ripartenza delle estrazioni di idrocarburi dai fondali marini tra le 9 e le 12 miglia dalla costa varata dal Governo Meloni, e accelerare su rinnovabili, efficienza, reti, accumuli e sulla legge per eliminare i sussidi alle fonti inquinanti che ancora manca all’appello”.

A livello normativo, aggiunge poi l’associazione, non dimentichiamo che è in discussione al Parlamento e al Consiglio europeo un regolamento europeo finalizzato al tracciamento e alla riduzione delle perdite di metano. Per Legambiente il testo attualmente in discussione deve essere migliorato, prevedendo per esempio tempistiche più strette e norme stringenti per le importazioni di idrocarburi dall’estero.

Monitoraggi.  “In Basilicata tra i casi analizzati degni di nota – commenta Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata – ci sono il pozzo Monte Alpi 4 in Val d’Agri e una stazione di regolazione nei pressi di Moliterno (PZ). Nel primo caso sono stati individuati due casi di venting, una perdita dall’unità di misurazione e due perdite lungo le tubature per un totale di 5 fonti di emissione. Nel secondo sono state identificate circa dieci fonti di emissione, di cui due per rilascio e 8 perdite da tubature, valvole e connettori. Sovrapponendo i dati della produzione di gas fossile con le perdite stimate che caratterizzano il settore, in generale è possibile che in Basilicata vengano dispersi direttamente in atmosfera tra i 4 e i 36 milioni di metri cubi di gas ogni anno”.

Ciò che è stato ripreso ad ottobre da Legambiente, tra la Sicilia e la Basilicata in alcuni siti individuati a campione, va calato in un contesto più ampio, nel quale WWF Italia ha stimato nel nostro Paese dispersioni dirette in atmosfera di gas fossile tra i 3,2 e i 3,9 miliardi di metri cubi tra perdite strutturali e legate alla scarsa manutenzione. Quindi il gas che viene sprecato corrisponde grossomodo all’aumento della produzione che il nuovo Governo vuole approvare.

 Proposte per frenare le perdite di metano: Oltre a chiedere un sistema di monitoraggio, comunicazione, verifica e norme concrete, per Legambiente è fondamentale che venga fatto un rilevamento e una riparazione delle fuoriuscite di metano (LDAR): compagnie e gestori energetici dovrebbero essere obbligati a condurre delle attività di rilevamento e riparazione delle fuoriuscite di metano mensilmente, intervenendo immediatamente ed in maniera efficace su ogni perdita. Il regolamento europeo invece propone di intervenire solo sulle perdite di una certa grandezza, lasciando che il resto del gas metano venga sprecato. Ciò contribuirebbe ad evitare il 42% delle emissioni dirette che si verificano oggi in Italia.

Inoltre si chiede che venga vietato il rilascio (venting) e che la combustione in torcia (flaring) sia limitata ai soli casi emergenziali, dato che le attuali norme affrontano parzialmente il problema. Che vengano monitorati, chiusi e bonificati i pozzi inattivi nel più breve tempo possibile. Infine, che vengano avviati programmi di cooperazione internazionale applicando gli standard proposti per le compagnie e gli stati europei lungo l’intera filiera, anche al di fuori dei confini comunitari, per limitare, fino ad azzerare, le emissioni al di fuori dell’Unione Europea considerando che la maggior parte delle emissioni arriva proprio fuori dai confini visto che importiamo più del 90% di gas.