La discarica dei veleni foto

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    Inefficienze, omissioni, contraddizioni che coivnolgono assessori e dipartimenti regionali all’Ambiente. Ecco un’altra pagina scura, che emerge all’ombra della discarica di fosfogessi di Tito ScaloOra che anche l’Arpab ha reso noti i picchi di radioattività finora taciuti, i volta faccia e le responsabilità di dirigenti e assessori, nel fornire atti pubblici su quel sito, assumono una valenza insopportabile oltre che sospetta. Per la serie: non sa la mano destra cosa fa la sinistra.

    La maxi discarica

    Chiariamo: la discarica di cui parliamo è situata nella ex Liquichimica meridionale di Tito (Potenza), un’azienda che fino ai primi anni ’80 produceva fertilizzati. Lo sversatoio di veleni è composto da un doppio strato. A metà degli anni ’80 furono interrati i fosfogessi, cioè scarti di lavorazione della ex Liquichimica. Scorie da cui deriva la presenza di tracce radioattive. Alla fine degli anni ’80, invece, al di sopra di questa prima discarica sono stati seppelleti in apposite trincee, fanghi speciali, contenenti metalli pesanti come zinco e rame. Già, ma esistono delle autorizzazioni che hanno consentito la realizzazione di questo megasversatoio delle vergogne?

    2010: le certezze dell’assessore Mancusi e del dirigente Viggiano

    Ed è qui che il massimo Ente locale si è sbugiardato da solo. A luglio del 2010, infatti, il consigliere regionale Gianni Rosa, attraverso un’interrogazione, chiede lumi sulla natura di quelle scorie e su quale tipo di autorizzazioni fossero state concesse. Tre mesi dopo arriva la risposta. C’è la firma dell’assessore all’Ambiente (Mancusi) e dei dirigenti del Dipartimento Viggiano e Ricciardi. Che rispondono in modo inequivocabile: “La discarica è autorizzata”. Riferendosi sia a quella dei fosfogessi che all’altra, composta di fanghi e sovrapposta alla prima.

    2012: la Mazzocco fa marcia indietro. E Viggiano?

    Passa qualche mese e stranamente cambiano le carte in tavola. Nel marzo del 2011 Gianni Rosa fa una nuova interrogazione. Chiede quali documenti possiede la Regione sulla “discarica” della ex Liquichimica. La risposta, con carta intestata del Dipartimento all’ambiente, arriverà solo un anno e mezzo dopo. Cioè a novembre dello scorso anno. Strano. Ancora più strana la risposta. “Non è stata rinvenuta la documentazione sulle relative autorizzazioni”, è scritto in quel documento pubblico. L’assessore all’Ambiente non è più Mancusi, ma la Mazzocco. Che sbugiarda, di fatto, il suo predecessore. Quel doppio strato di veleni era “autorizzato”, secondo Mancusi. “Non è stata rinvenuta alcuna documentazione”, invece, per la Mazzocco. Il Dipartimento Ambiente, però, è sempre lo stesso. E Viggiano ne è il massimo dirigente. Come mai in soli due anni le autorizzazioni sui veleni di Tito sono scomparse? Semplici disattenzioni, omissioni o cosa?

    L’ombra delle ecomafie e quell’inchiesta di Woodcock

    I dubbi e le perplessità crescono. La discarica in questione, infatti, in odore di ecomafia, nel 2001 è stata posta sotto sequestro dal pm Woodcock per “violazioni delle norme ambientali”. E cosa ci sia piovuto all’interno resta, ad oggi, un mistero fitto. Inchieste appese. Fascicoli riaperti nel 2009 e di cui non si sa più nulla. Se poi anche dipartimenti e assessori giocano a sbugiardarsi gli uni con gli altri, allora diventa davvero difficile ricomporre il filo. Solo cialtroneria di certi uffici e incompetenza di certi uomini politici? Sarà, ma un fatto è certo: i diritti alla salute e all’informazione non possono fermarsi davanti a quei ‘grigi’ Palazzi di via Anzio. 

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