La nuova legge elettorale e i calcoli del Pd

Una legge che non accontenta tutti ma che non scontenta nessuno

Dietro ogni articolo della nuova legge elettorale sembra esserci un ragionamento tattico del Pd e dei centristi della maggioranza. A parte la doppia preferenza di genere, tutto il resto, seppure interpretabile come una riforma democratica che agevola la partecipazione alla competizione elettorale, è calcolo. Un calcolo frutto di un compromesso che non accontenta tutti ma che non scontenta nessuno.

I tempi dell’approvazione

Il parto, lungo travagliato, della legge è dovuto alla complicata discussione interna al Pd e alla maggioranza. Tuttavia, rimane l’ombra della volontà di spostare la data delle elezioni oltre la scadenza naturale di novembre. Adesso è evidente, si voterà a gennaio. Il Pd aveva questa necessità: prendere tempo per ricomporre una coesione interna sfaldata negli ultimi due anni e provare a recuperare parte del consenso perduto alle politiche. Sui tempi ha anche pesato la vicenda giudiziaria che ha portato agli arresti del presidente Pittella. Ora dovrà esprimersi la Cassazione che, nelle previsioni della maggioranza, deciderà per la scarcerazione. In tal caso il Pd potrebbe recuperare alcune ragioni politiche affossate dalla campagna mediatica di queste settimane e rimettere al centro un recupero dei consensi cristallizzati nell’area pittelliana.

La doppia preferenza di genere e l’abolizione del listino

La doppia preferenza era un obbligo. Nessuno si sognava di evitarla. Il Pd in questo caso ne ha approfittato, legittimamente, facendola passare come una sua vittoria. Tant’è che nei comunicati stampa diffusi immediatamente dopo l’approvazione, è stato questo, insieme all’abolizione del listino, l’argomento di propaganda utilizzato.

In attuazione delle norme approvate nel 2016 dal Parlamento sulla parità di genere nei Consigli regionali, viene stabilito che in ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al sessanta per cento dei candidati. L’elettore può esprimere due preferenze, riservando la seconda a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima.

L’abolizione del listino è stata fatta passare demagogicamente come la necessità di evitare che gente “nominata” dai Partiti sieda in Consiglio regionale sottraendosi al voto dei cittadini. Il listino aveva un senso originario tutt’altro che deplorevole. Ad ogni modo è vero – come hanno sottolineato tutti – che i tempi sono cambiati e bisogna adeguarsi all’ondata di rigetto popolare contro la casta e i nominati. Ci si adegua, senza convinzione.

L’elezione del presidente e il voto congiunto

Viene confermato, in linea con lo Statuto, il sistema maggioritario, con l’elezione diretta del presidente della Regione. Insieme a lui entrerà in Consiglio regionale il candidato presidente della coalizione classificata al secondo posto. Gli altri 19 seggi saranno attribuiti con criterio proporzionale alle liste delle due circoscrizioni provinciali di Potenza e Matera, così come è avvenuto in passato. Adesso però i seggi spettanti al collegio materano sono 7, anziché 6 come nel vecchio sistema, con una riduzione a danno del collegio potentino che da 14 passa a 13 seggi.

Sul voto congiunto la maggioranza ha sementito se stessa nelle argomentazioni utilizzate per valorizzare l’abolizione del listino e la doppia preferenza di genere. La qualificazione democratica di questa norma perde di sostanza nel momento in cui l’elettore è costretto a votare per un candidato o per una lista collegati al candidato presidente. Non è possibile differenziare il voto per il presidente e per il candidato di un’altra lista non collegata e viceversa. In questo caso la democrazia e la libertà di scelta dell’elettore sono passati in secondo piano. La motivazione sostanziale è la garanzia della governabilità che scongiura anche la famosa “anatra zoppa”: un presidente senza maggioranza. In realtà il voto disgiunto avrebbe danneggiato il Pd.

La riduzione del numero di firme per la lista e la soglia di sbarramento

Anche in questo caso la scelta è stata spiegata con il sentimento democratico dell’ampia partecipazione alla competizione elettorale. Alleggerire i soggetti intenzionati a presentare liste elettorali dall’incombenza della raccolta firme vuol dire – questa è la motivazione – ampliare la gamma dei concorrenti in una prospettiva più democratica. In realtà il Pd pensa ad un pacchetto di liste civiche di appoggio alle quali garantire una certa agibilità nelle fasi pre-voto. Sembra di capire che le liste che oltre il simbolo proprio si affiancano ad un simbolo di un partito già presente in Consiglio regionale, possano evitare di raccogliere le firme. Insomma tutto si muove, tatticamente, nella direzione di favorire liste civiche di appoggio in una coalizione a guida Pd. Nella piena consapevolezza che il M5S non potrà fare la stessa cosa, avendo deciso, almeno al momento, di correre da solo.

Il Pd avrà di che guadagnare dalle tante liste e listarelle che porteranno acqua al mulino della coalizione di Centro sinistra destra. Anche un solo secchio sarà vitale.

E’ stato stabilito lo sbarramento al 3% per le liste e all’8% per le coalizioni per partecipare alla ripartizione dei seggi. Tuttavia, quella soglia del 3% della singola lista non garantisce affatto un seggio in Consiglio.

I premi di maggioranza

Con la nuova legge elettorale quindi i seggi saranno attribuiti solo alle liste provinciali. Il premio maggioritario sarà assegnato alla coalizione vincente in base alla percentuale raggiunta: fino al 30 per cento, 10 seggi più il presidente; dal 30 al 40 per cento 11 seggi più il presidente; oltre il 40 per cento 12 più il presidente. In ogni caso per la maggioranza è previsto un limite massimo di 14 seggi più il presidente. E’ un metodo piuttosto stravagante. Rimane il fatto che la coalizione più votata (anche col 20%) si porta a casa 10 consiglieri più il presidente. Questo sistema graduale e stravagante potrebbe suscitare qualche perplessità nei costituzionalisti.

Il trenino

La maggioranza ha poi deciso il “trenino”: la sostituzione temporanea dei consiglieri nominati assessori, con il primo dei non eletti della stessa lista”. Che cosa significa sostituzione temporanea? A rigore di logica vorrebbe dire che qualora l’assessore si dimettesse dalla carica il consigliere che lo ha sostituito dovrà liberare la poltrona e riconsegnarla al “legittimo proprietario”.

Anche questa norma appare oltremodo stravagante. Cercheremo di capirne le ragioni. Probabilmente in questo modo si intende evitare che gli assessori siano completamente nelle mani del presidente.

Che dire?

La legge può piacere o no, rimane il fatto che è stata partorita da una discussione tutta interna ai partiti. Nessuno, e dico nessuno, si è sognato di avviare una discussione pubblica con la partecipazione dei cittadini. Il dato più negativo è proprio questo. Così come è stato un errore l’assenza delle minoranze dal dibattito a pochi metri dal traguardo. Bisognava essere in Consiglio, ribadire le proprie ragioni, votare contro o astenersi o approvare. Gli assenti hanno sempre torto specie quando i presenti non desiderano altro che giocare da soli. Con la loro assenza hanno consentito alla maggioranza di improvvisare una solitaria sceneggiata propagandistica dell’ultima ora, del tipo “quanto siamo bravi, quanto siamo belli”.

Intanto è quasi certo che le elezioni si svolgeranno non prima dell’inizio del nuovo anno. Sarà una campagna elettorale feroce e insieme confusionaria. Una battaglia all’ultimo voto.