Basilicata. La disaccoglienza dei braccianti stagionali: i furbi, i distratti e i delinquenti

Le istituzioni sono chiamate a farsi carico, con soldi pubblici, dell’alloggio dei lavoratori, come se i pomodori da raccogliere, gli ortaggi, la frutta fossero di proprietà dello Stato o della Regione. Ma chi lo ha stabilito?

Mio padre, buon’anima, è emigrato in Germania a metà degli anni Sessanta, quando io avevo 4-5 anni. Ogni 6 mesi circa rientrava e la prima cosa che faceva appena metteva piede in casa – baci e abbracci erano tra i preliminari – tirava fuori dalla valigia soldatini e cioccolatini per me. La seconda cosa che faceva era sedersi e raccontare a mia madre quei 6 mesi di lavoro alle dipendenze di una ditta edile del posto. Il datore di lavoro metteva a disposizione degli operai alloggi forniti di punto cottura, posto letto, bagno, doccia e riscaldamento. Si trattava di casette in legno ben curate. Per molti anni ha raccontato di quella sua esperienza di emigrato apprezzando il comportamento della ditta tedesca, fatto di rispetto per i lavoratori non solo italiani. Quell’imprenditore tedesco negli anni successivi venne persino a casa per una vacanza a Venosa, con tutta la sua famiglia.

Ebbene, ogni anno di questi tempi, mi torna in mente quel racconto e il ricordo di quelle giornate, assistendo al trattamento riservato ai braccianti immigrati nelle terre lucane. Sempre polemiche, problemi di accoglienza, ghetti, morti, lavoratori trattati come bestie, giochetti a scaricabarile.

Le istituzioni sono chiamate a farsi carico della sistemazione di questi lavoratori, come se i pomodori da raccogliere, gli ortaggi, la frutta fossero di proprietà dello Stato o della Regione.

Continuo a chiedermi ancora oggi perché gli imprenditori agricoli non si organizzino in tempo per accogliere in forma civile, in alloggi decenti, questi lavoratori? Perché bisogna farlo, tra l’altro nel modo peggiore, con i soldi pubblici?

Intuisco le difficoltà del mondo agricolo: l’arroganza della Gdo che impone prezzi da fame, i sacrifici degli agricoltori per non chiudere le aziende, i problemi legati alle politiche comunitarie, il rischio delle infiltrazioni criminali, la paura di finire all’asta da un giorno all’altro. Tuttavia, la questione di principio rimante intatta. I pomodori sono i vostri, non dello Stato o della Regione, e quei braccianti lavorano per voi, non per lo Stato o per la Regione. Allora perché dobbiamo spendere centinaia di migliaia di euro di risorse pubbliche per garantirvi la manodopera?

Perché si organizza un centro di “disaccoglienza” a Palazzo San Gervasio a ridosso del covo di quei delinquenti dei caporali? Perché a “gestirlo” con il codice militare è la Croce Rossa che incassa 80mila euro di risorse pubbliche in un mese? Tuttavia, la domanda più ingenua è un’altra: i contratti provinciali di lavoro sono rispettati? Quei contratti prevedono anche l’accoglienza, gli alloggi, il trasporto a carico dei datori di lavoro. Qualcuno vigila sull’applicazione di quei contratti? Ecco, a questo punto del ventunesimo secolo ci vorrebbe una bella risposta.

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