Elisa Claps dimenticata dalle istituzioni e dai selfisti delle panchine rosse

Il silenzio della politica e la confessione di un uomo: "Io in questa chiesa – della Trinità - sono stato abusato"

Certa stampa e molti uomini e donne delle istituzioni oggi, nel trentennale della morte di Elisa Claps, non hanno aperto bocca: neanche un rigo, neanche una parola. A parte l’iniziativa del Municipio di Potenza, che ha deciso l’esposizione della bandiera a mezz’asta sugli edifici comunali, la Regione, la Provincia e altri non hanno battuto colpo. Il presidente Vito Bardi non ci sembra abbia detto qualcosa, al momento. Poi, come fanno spesso, leggono l’articolo e corrono ai ripari. Il sito istituzionale della Regione, che di solito pubblica le dichiarazioni e i commenti dei consiglieri regionali e di altri esponenti di enti legati alla Regione, oggi ha il vuoto su Elisa. Evidentemente la redazione di quel sito non ha ricevuto alcun comunicato o dichiarazione da parte di uomini e donne delle istituzioni a vari livelli. Non una parola da parte della Consigliera di parità, silenzio assoluto dalla Commissione pari opportunità e da tutti coloro che si fanno fotografare davanti a panchine e scarpe rosse. Come se la morte di Elisa Claps non fosse stato un femminicidio, come se la povera ragazza non fosse stata vittima di violenza. Come se tutta la vicenda non fosse degna di una parola. Per carità, non facciamo di tutta l’erba un fascio e salviamo le rare eccezioni. E allora? Nonostante le iniziative di questi giorni, nonostante il grande successo del podcast di Pablo Trincia, tutta questa gente ha fatto finta di non vedere e di non sapere. Glielo ricordiamo noi.

Oggi è il trentennale della morte di una bambina violentata e uccisa dentro una chiesa. Un femminicidio che interroga molte coscienze e che reclama risposte mai fornite dalle istituzioni clericali, giudiziarie, politiche. Sarà per questo che, tranne le centinaia di cittadine e cittadini che hanno partecipato alla marcia organizzata dall’attore Ulderico Pesce, gli eredi di quella stagione dei veleni e delle nebbie, si sono dati alla macchia? Sarà per questo che gli scopritori di targhe dedicate a chicchessia, i retorici degli anniversari di decennali e centenari, si sono svincolati da qualsiasi commento? Qual è il problema? Che cosa impedisce a queste persone di dire una parola di conforto alla famiglia, di assumere una posizione, di marcare una presenza in quanto esponenti delle istituzioni? A questa domanda ognuno potrebbe risponde per se stesso. Purtroppo, anche l’Associazione Libera è stata ufficialmente assente alla marcia di questa mattina, divisa tra chi non vuole contraddire il vescovo sulla riapertura della chiesa della Trinità e chi vorrebbe – una minoranza interna – che quel luogo venisse chiuso al culto.

Ma oggi, è importante altro. Quel femminicidio – con tutta la vicenda che l’avvolge – non è solo un fatto giudiziario, un reato, uno psicopatico in galera, conseguenza di una disgrazia o di una sfortuna, non è cosa che riguarda una famiglia. Quel femminicidio è una ferita indelebile agli archetipi della convivenza civile, uno strappo alla fiducia nelle istituzioni laiche e religiose, all’affidabilità del sistema giudiziario, all’autenticità delle relazioni tra cittadini. E’ un macigno che preme sulle spalle dell’intera società potentina e, direi, lucana. Chi non avverte questo peso, chi vorrebbe metterci una pietra sopra per “ricominciare”, non indica la strada giusta per la necessaria redenzione della città Capoluogo. Il perdono è una strada, ma bisogna sapere chi perdonare e per cosa perdonare. Solo la verità, tutta, può unire: le menzogne dividono. Solo la verità, tutta, può restituire la pace e la giustizia. E quella verità va cercata, sempre. Il resto è nebbia sporca, rumore, ipocrisia al banchetto della retorica. Un banchetto a cui ha partecipato chi oggi è stato zitto e nascosto. Stamane, davanti alla chiesa della Trinità, alla manifestazione organizzata da Ulderico Pesce, qualcuno ha confermato pubblicamente davanti a centinaia di persone: “Io in questa chiesa sono stato abusato”.