Potenza, caso Elisa Claps: il bavaglio alla memoria e la benda sugli occhi del futuro

Perché la riapertura al culto della chiesa della Trinità è un male per l’intera comunità? Proviamo a spiegarlo in questo editoriale

Viviamo tempi in cui il ricordare è continuamente in pericolo. La memoria, la storia oggi richiedono continuità narrativa e luoghi in cui quella narrazione possa esprimersi senza interruzioni: la memoria ha sempre bisogno di un appiglio. Oggi viviamo in una dimensione digitale che oltre a frammentare la vita spinge ogni cosa nel flusso veloce del tempo. Il tempo si mangia lo spazio, mentre la memoria ha bisogno di spazio e di un tempo per indugiare. L’indugiare diventa una necessità quando si vuole ricordare e narrare nel tempo una storia.

La chiesa della Trinità riaperta al culto non apparterrà alla comunità, ma sarà un semplice luogo di accesso, dove tra l’altro c’è una lapide in memoria di un parroco discusso. Uno dei protagonisti della vicenda di Elisa. Una lapide il cui contenuto esclude ogni traccia di memoria dei fatti che riguardano la morte della ragazza. La riapertura di quella chiesa mette il lucchetto alla storia.

La memoria ha bisogno di un luogo-spazio di appartenenza che si protrae nel tempo. Da sempre e ovunque, i luoghi in cui accadono i fatti diventano luoghi della memoria. Le fosse ardeatine, le foibe, i campi di concentramento nazisti, così come Woodstock è il luogo della memoria della pacifica rivolta giovanile, la casa natale di un poeta è luogo della memoria e della storia, potremmo continuare all’infinito.

Ora, qual è il luogo della memoria della storia di Elisa se non la chiesa dove la ragazza è stata ammazzata? Se quella chiesa smette di essere chiesa e diventa uno spazio laico destinato alla cultura, alla musica, alla poesia, all’arte con particolare attenzione ai giovani, la memoria sarà salva. Uno spazio in cui in varie forme sia evidente la storia di Elisa a chiunque lo frequenti. Uno spazio dove dolore e resistenza al dolore siano da insegnamento, dove la vita riprenda a fiorire nella socialità e nella creatività, nel pensiero e nell’azione delle ragazze e dei ragazzi. Una sorta di spazio “transizionale” che dia ai giovani un senso di sicurezza, di fiducia, di bellezza, di crescita civile e culturale. Un luogo dove sia chiaro che Elisa non è morta invano.

Al contrario, se quello spazio continuerà ad essere chiesa, senza che vi sia traccia di memoria, il luogo, in relazione ai fatti accaduti, perderà spessore temporale e ambizione narrativa: sarà un luogo senza destino né ricordo. Il tempo consumerà il ricordo e la flebile resistenza all’oblio sarà nelle mani delle ricorrenze: il trentunesimo, il quarantennale, e cosi via. Quanto potrà durare? E quanto futuro potrà generare la celebrazione di una morte per 24 ore ogni anno?

Dunque, il dibattito se aprire o chiudere la chiesa della Trinità non riguarda una questione religiosa, ma clericale. Non riguarda una questione familiare, ma sociale. Una cosa è certa: quel luogo deve rimanere aperto, ma non al culto, va aperto alla cultura. La memoria per non essere un semplice ricordo imbalsamato, deve vivere, deve essere generatrice di futuro. Non bisogna mollare la presa, bisogna insistere, anche nella ricerca della verità. In caso contrario presto sarà tutto finito. Ed è quello che vogliono gli amici e gli eredi della lunga stagione delle menzogne: mettere il bavaglio alla storia.