Mafia e mafiosità in Basilicata: omertosi non si nasce, si diventa

A proposito delle dichiarazioni del procuratore Francesco Curcio in una conferenza stampa: “esiste un clima omertoso sul territorio”

L’omertà, sarebbe parte intima della nostra indole. Avremmo un’attitudine a farci i fatti nostri, una mentalità chiusa dalla paura, accerchiata dal dovere di pensare a se stessi e alla propria famiglia. Insomma, l’omertà sarebbe un nostro problema antropologico, così come la povertà, la sottomissione al potere, compreso il potere mafioso. Perciò la nostra omertà sarebbe un “silenzio di condivisione” e non solo di paura. Non credo affatto che il procuratore Curcio intenda riferirsi a questa visione culturalista dell’omertà, ma ha ragione quando dice che sul territorio c’è un clima omertoso.

Abbiamo tuttavia il dovere di riflettere sulle ragioni di questo clima, evitando appunto approcci culturalisti. È molto probabile che il silenzio e la paura crescano quando la giustizia non funziona, quando le istituzioni si rendono complici dei malavitosi o quando la corruzione dilaga senza che mai un corrotto vada in galera. Il silenzio e la paura crescono quando la mafiosità è costume dentro le istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini e la legalità. Quando la politica è potere fatto a sistema e agisce con arroganza e con la violenza del ricatto. Anche l’impunità causa il silenzio e diffonde la paura.

I dati statistici dimostrerebbero come il mito dell’omertà nel Sud sia falso. In Basilicata, per esempio, la percentuale di autori di reato identificati, quindi beccati, è superiore a quella della Lombardia e della media nazionale.

Se reagisci a situazioni di illegalità, di malaffare e puniscono te anziché i malfattori, tutti gli altri avranno paura di fare la tua stessa fine. Se i politici e i funzionari corrotti la fanno franca è facile che i dipendenti dell’ente interessato dalle indagini stiano zitti per paura di ritorsioni. Tacere diventa una scelta razionale, valutata in base ai pericoli oggettivi in una determinata situazione. L’omertà è un comportamento imposto con la forza e con la paura. E sotto molti aspetti si presenta come un atteggiamento di legittima difesa. Con questo non si vuole giustificare chi non reagisce e non denuncia il malaffare: parlare è un atto di civiltà e tuttavia è un atto di coraggio. E chi non ha coraggio deve essere incoraggiato dal comportamento delle istituzioni.

Certo, esiste un’omertà che potremmo definire “silenzio di condivisione o di convenienza”, ma questa è un’altra storia e coinvolge chi nei sistemi criminali ottiene vantaggi, compiacenze, senza tuttavia esserne parte attiva.

Da giornalisti abbiamo esperienza diretta di situazioni in cui il cittadino pur essendo a conoscenza di episodi di illegalità, o avendoli vissuti personalmente da vittima, tace per paura, ma anche per difendere se stesso da probabili ritorsioni. L’operaio costretto a restituire una parte del salario al suo datore di lavoro tace e subisce per non perdere il posto. L’impresa onesta esclusa ingiustamente dall’appalto tace e subisce per non pregiudicarsi altre opportunità. Il commerciante onesto costretto a pagare il pizzo tace e subisce per evitare gravi ritorsioni. E potremmo continuare a lungo. Il problema, almeno in gran parte, è nella risposta delle istituzioni ai cittadini: omertosi non si nasce, si diventa.

Dunque occorrerebbero più civismo, più coraggio e meno pregiudizi. Insieme a istituzioni più affidabili, a una politica più autentica e credibile. La criminalità economica andrebbe combattuta con maggiore energia, la devianza del potere politico e l’illegalità nella pubblica amministrazione andrebbero perseguite con maggiore determinazione. Perché è su questo terreno che prevale “il silenzio di condivisione”. Si ha più coraggio nel denunciare un furto, un omicidio, un estorsore e meno coraggio nel denunciare un corrotto, un concusso, un ricatto economico.

Ma c’è un altro aspetto che va considerato in questa riflessione: la risposta della macchina giudiziaria al cittadino che denuncia. Soldi, processi, lungaggini, ostacoli di diversa natura e in fine il rischio di passare da parte offesa a imputato. Le vie crucis nei tribunali non aiutano chi avrebbe il coraggio e il senso civico di parlare e denunciare.