Arpab, le ‘purghe’ del direttore Tisci

Lavoratrici spostate dal laboratorio agli scarichi fognari

E’ tutto nero su bianco. Il 2 novembre dello scorso anno il direttore dell’Arpab, Antonio Tisci, costituisce un gruppo operativo per campionamento e analisi dei depuratori. In sostanza prende quattro operatrici dal laboratorio chimico e le sposta agli scarichi fognari. Il giorno 11 novembre intervengono i sindacati e chiedono conto al direttore. Il 15 novembre interviene direttamente il laboratorio, e con una lettera alla direzione chiede che l’attività venga fatta a rotazione tra tutti i componenti, e che quella clava non ricada solo su ‘quelle’ donne designate da Tisci. Nessuna risposta da parte sua.

La gentile richiesta al direttore. Ai primi di dicembre sono proprio le “donne” in questione a scrivere al direttore. Gli fanno capire espressamente che, viste le operazioni da svolgere in luoghi isolati, tra depuratori in aperta campagna, in quanto donne, hanno maggiori disagi. Cicli mestruali, bisogni primari difficili da espletare a cielo aperto. Chiedono che sia fatto a rotazione tra chi opera nel laboratorio. Anche davanti a quest’ultimo disperato appello, però, c’è il silenzio del direttore. Finché le lavoratrici, il 17 dicembre, si rivolgono alla consigliera regionale di Parità, la quale a sua volta chiede al dg di Arpab di non procedere nel suo intento perché in violazione del decreto legislativo sulle discriminazioni sul luogo di lavoro.

Ma il direttore decide da sé. Non accoglie indicazioni, il direttore. Con una delibera di ‘riorganizzazione’, a gennaio scorso, decide cambiamenti. E tra questi, sposta alcune di quelle lavoratrici proprio all’Ufficio risorse idriche e scarichi. Ha deciso, in sostanza. A niente serve l’intervento della Consigliera Pipponzi sull’atto “discriminatorio”, e sull’illegittimità di “destinare ad altra attività delle lavoratrici solo perché si sono rivolte all’Organo” da lei rappresentato. Ci sono missive girate anche alla Regione. Per decidere, il direttore avrebbe dovuto avere l’ok sul regolamento di organizzazione, proprio dai vertici regionali e nello specifico dal Dipartimento Ambiente. Intervengono anche i sindacati perché adombrano diversi elementi di illegittimità in quella delibera. Niente da fare. Anche dai piani alti di via Verrastro, nonostante le sollecitazioni, non arriva alcun segnale.

Dalla padella nella brace. Come effetto immediato della delibera, pomo della discordia, lo scorso 2 febbraio il direttore inserisce le ‘stesse lavoratrici’, sempre loro, in spazi definiti open space, cioè aperti ad almeno 6,7 operatori, con questo esponendole ad un maggiore rischio ‘contagio’, pur essendo disponibili uffici da due posti, più al riparo, in tempi di emergenza sanitaria. Anche qui i sindacati denunciano i fatti. Vengono diramati diversi comunicati, la Regione è perfettamente a conoscenza dei problemi interni all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.

Non nominate figure di controllo ‘necessarie’. A mancare, da diversi mesi, all’interno dell’Agenzia, è anche il Cug (Comitato unico di Garanzia), che in ogni Ente si occupa di prevenire discriminazioni e vessazioni. Mai istituito nel corso della attuale gestione. Solo dopo apposita denuncia, Tisci lo avrebbe nominato, proprio ai primi di febbraio di quest’anno, tra l’altro inserendo alcune figure che non si capisce se, a norma di legge, avessero i titoli. Mancava, all’Agenzia, anche il Responsabile Protezione e Prevenzione (Rspp), nominato solo dopo la sospensione di Tisci, dall’attuale facente funzioni (Achille Palma). Tutte mancanze segnalate e denunciate pubblicamente dai sindacati di categoria.

‘Positivo’ al lavoro Ad interrompere la parabola del direttore all’Arpab, lo ricordiamo, solo la sua ‘positività’ al covid riscontrata dai carabinieri del Nas, venerdì 4 febbraio. Il resto è storia ben nota. La sospensione del direttore decisa dal presidente Bardi, e la decisione definitiva, attesa tra domenica e lunedì prossimi, al termine delle controdeduzioni che lo stesso direttore sospeso dovrà esporre sulla questione ‘mancato green pass e presenza in Ufficio nonostante la positività al covid’. In chiusura, quindi, oltre la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la misura appariva già colma, da alcuni mesi, ai sindacati e all’Organismo di Parità. Segnalate possibili “discriminazioni”, “vessazioni”, delibere a “rischio legittimità”, mancanza di figure di tutela ‘necessarie’ all’interno dell’Ente. Tutte questioni che restano appese. In attesa che la politica regionale si assuma l’onere di decidere cosa fare con Tisci. E soprattutto si schiarisca le idee su come ripartire, in una situazione che appare davvero imbarazzante e difficile da giustificare agli occhi dell’opinione pubblica.